Prof. David La Mantia storico dell’arte

Andrea Ferrari ed i suoi mondi.

Kabarett allegoria del presente. 

Ci sono mille e mille modi di leggere Andrea Ferrari.

Il primo è nell’esplosività dei colori, nella capacità tutta espressionistica di emozionare attraverso il cromatismo. C’è una storia ed una tradizione pittorica a cui rifarsi, che chiama a raccolta le figure danzanti del Matisse maturo e il Kirchner dei ritratti dissonanti dei primi anni fino alle prove di un Musante e di un Nespolo, insomma della patafisica italiana. Il mondo perde, nelle sue tinte rovesciate, che richiamano talora anche il Gauguin giovane del Cristo giallo, connotati mimetici e rappresentativi a favore del pathos e del sublime. Nonostante questo troviamo una campitura netta, pulita, una pennellata asciutta e per nulla materica.

Il secondo modo vive nel gusto del sarcasmo, dello sberleffo camuffato dai lustrini, che appartiene, come nella personale dal titolo Kabarett dell’artista toscano, ad una particolare stagione della cultura tedesca, vivace fino al lento declino della repubblica di Weimar ed all’avvento di Hitler. C’è quindi la polemica, il gusto puntuto della ribellione al potere ed alla volgarità, nel richiamo esplicito ad artisti come Otto Dix ed Ensor, che attraversarono o furono protagonisti di quell’epoca. Una stagione irripetibile, che, nella sua ricerca di spazi di libertà, diventa allegoria delle contraddizioni del presente, disvelandone, come allora, l’ipocrisia, il tradimento dei valori, l’inautenticità.

Il terzo aspetto richiama il manierismo alla Pontormo, alla Rosso Fiorentino o alla Beccafumi. In particolare il secondo sembra evidente nelle mani uncinate che rendono quasi demonici i personaggi di Kabarett, nell'equilibrio instabile della composizione, nei colori dissonanti, nelle espressioni innaturali( o deformi) delle figure, che rimandano almeno anche allo straniamento del Bosch di Ecce homo. Un artificio così insistito da creare un mondo distorto eppure riconoscibile e, paradossalmente, privo di opacità.

C’è poi un quarto punto da sottolineare. Sorprende in simile contesto rinvenire riferimenti al surrealismo, più alla lezione di Savinio che a quella di Ernst, in particolare nella perdita progressiva dell’antropomorfismo a favore della bestialità dei personaggi, che assumono talvolta l’aspetto di maiali , altre volte tratti ornitologici.

Il quinto elemento tocca la linea, tipicamente toscana perché piena e forte, che in Ferrari si fa enorme, volutamente innaturale, eppure tesa spesso a sottolineare la drammaticità e l’intensità degli eventi. Masaccio, specie quello della Cappella Brancacci, viene evocato nella drammaticità delle espressioni e soprattutto nella profondità scavata degli occhi.

E poi c’è un enorme simbolismo di fondo, talmente ricco da ricordare l’epopea pittorica fiamminga, nelle collane, nei gioielli, nella miniaturizzazione degli elementi, nei nudi di donna isolati con uomini vestiti, quasi a ricordare un topos artistico che da Giorgione e Tiziano (concerto campestre) arriva almeno fino a dejuner sur l’erbe di Manet

Il risultato è una cifra stilistica davvero interessante ed un riferimento culturale pressoche' unico nella pittura contemporanea. Perché Andrea Ferrari, nella sua maturità artistica, è una summa articolata di tante esperienze del passato lontano e vicino, combinate in modo originale.