Adriano Simoncini

Se provo a definire con un solo vocabolo l’impegno pittorico di Fabio Angelini includendo in un’unica categoria estetica – esercizio critico azzardato – userei la parola “raffinatezza”.

Perché la pittura di Angelini è innanzi tutto raffinata.

Raffinata, elegante, elitaria anche nelle rappresentazioni più umili e schive per la modestia del soggetto.

Ma la definizione monocorde, oltre che incauta, è ovviamente limitativa: affacciandosi appena ad una mostra del nostro ci sorprende infatti un empito di stupefazione, di coinvolgimento, quasi un senso di antica appartenenza: riconosciamo il mondo inconscio dell’età dell’oro, l’eden primigenio solo sognato che si rivela sulle pareti attorno a noi col miracolo dell’arte.

Cieli di nubi che si aprono improvvisi alla luce.

Acque chete che ti muovono dentro reminiscenze petrarchesche e rivedi i magici laghetti di Giverny, coi rami penduli che vi si specchiano molli, le ombre ambigue, i sentieri incerti: idilli residuali di un’Arcadia perduta.

Contraddistingue una tecnica che lo connota: sabbia e ghiaietto mischiati all’olio a dare profondità. Non cerca la fedeltà dei particolari, non l’iperrealismo; tuttavia luci ed ombre naturali, da plein air, cui si aggiunge il di più dell’anima, ulteriore imprescindibile fonte di luminosità.

Dopo l’approccio iniziale motivato da sollecitazioni sublimali, posa i pennelli e lascia riposare il quadro – lo stato d’animo deve decantare e definirsi – poi riprende il lavoro cercando l’effetto coerente al suo sentire.

Del resto cos’è (o cos’era) l’arte se non la capacità di commuovere, di emozionare, di coinvolgere chi legge, ascolta, guarda: se questo è il risultato di un’opera, l’obiettivo è raggiunto e questo l’amico Fabio lo dimostra.

Dott. Adriano Simoncini