Prof. GianLuigi Zucchini

Fabio Angelini si fa notare per la rara delicatezza dei suoi dipinti, dove sembra intessersi un delicato approccio a sussurrate proposte di poesia enunciate da colori chiari, apertamente luminosi, avvolgenti nell’impasto raffinato di ben scelte cromie.

Le atmosfere evocate spesso impressionismo, dove si intravede l’idea, il cenno appena della quasi disfatta forma delle ninfee di Monet, in un baluginio di luci e d’ombre che si distendono pacate sulla tela.

Altre volte sono luoghi d’acque, umili terre che pare abbiano assorbito la dolcezza tenera del colore.

Si respira in questi paesaggi una finezza lirica la quale rimanda ad emozioni che non mi pare negativo definire come romantiche, cioè componenti varie e diverse che esprimevano emozioni intense, struggenti, valori, ideali; in altre parole, un’erompente rivoluzione che coinvolse e travolse consolidate e sicure certezze, fermento di vivaci ed anche contradditorie sperimentazioni.

Ed anche alle opere di Angelini, se non proprio a tutte, si potrebbe applicare ciò che scriveva Baudelaire nel 1846, quando affermava che “romanticismo è intimità, spiritualità, colore, aspirazione verso l’infinito espressa da tutti i mezzi presenti nelle arti”.

Il pittore dunque, forse senza neppure avvertirlo, ma esprimendo inconsapevoli sentimenti che urgono, espone in diversi suoi dipinti tematiche le quali approdano ad un simbolismo lirico, come ad esempio nei paesaggi di nebbie dai cui strappi appaiono colline avvolte da una luce perlacea: allusione a simbologie espresse da vari artisti, come Pascoli, che ne deduce emozioni esistenziali, o Federico Fellini nel film “Amarcord”, per il quale lo sperdersi nella nebbia è nostalgia del ricordo ed al tempo stesso smarrimento del presente e della concretezza dell’esistere.