Vittorio Sgarbi

Non so se il foggiano Antonio d'Antini sapesse, nel momento in cui dipingeva il suo
singolare, per certi versi blasfemo, almeno agli occhi dei più bigotti, Cristo donna,
che la sua creazione non stava stravolgendo un'iconografia sacra, ma ne stava riprendendo
un'altra. Il Cristianesimo ha contemplato anche sante martiri crocifisse
allo stesso modo di Gesù. Una é Wilgefortis, principessa figlia di pagani, che per preservare
la sua verginità chiese a Cristo di farle crescere la barba. Come la vide simile
anche d'aspetto al suo idolo, il padre la fece uccidere nel suo stesso modo.
L'altra é Giulia, crocifissa in Corsica, dove i benedettini della Gorgona raccolsero le
sue spoglie e le tennero fino a quando desiderio, ultimo re longobardo, non ne dispose
il trasferimento a Brescia, facendone oggetto di uno speciale culto.
Proprio a Brescia si trova, nell'omonimo convento, la raffigurazione più impressionante
di Giulia: una statua secentesca dei fratelli Carra in cui la martire appare esattamente
come Cristo in croce, a petto nudo, con la veste a coprirle solo la parte
inferiore del corpo. Il Cristo donna di d'Antini é dunque Giulia, ovvero il concetto
alla sua base: se é vero che dio ha fatto uguali entrambi i sessi, non può essersi fatto
solo uomo, ma, necessariamente, anche donna. Certo, la donna di d'Antini esalta al
massimo la femminilità, usando la croce come un palo di lap dance per arcuare un
corpo di strabordante rotondità e proiettare verso il cielo una chioma lunga, bionda
e lasciva come nel racconto di Maupassant. Conciliando paganesimo e cristianesimo,
verrebbe da capire che per d'Antini la bellezza sia, piuttosto che fonte di peccato,
mezzo di elevazione spirituale. Ma si tratta, evidentemente, di una visione onirica,
come prevalentemente capita nei dipinti di d'Antini, e le visioni non sempre rispondono
alla possibilità di essere interpretate puntualmente.
Sono immaginazioni ad occhi chiusi, incanti, qualche volta beati, qualche altra inquietanti,
trasposte in una pittura che asseconda a dovere l'irrazionale, semplificando
il linguaggio figurativo in composizioni che tendono, invece, al rispetto di un
certo ordine nell'equilibrare volumi e partiti cromatici. E la fiaba continua.

Vittorio Sgarbi