LUCIANA SCHIROLI - Antonio Pacchiarini uomo e artista

Schivo e solitario, pensoso ed inquieto, Antonio Pacchiarini si confermò subito artista di grande talento. Con l?occhio attento di chi fa dell?immagine corporea il riflesso visibile dell?interiorità, Pacchiarini usò, nelle sue tele sulla figura umana, un pennello grondante di spessori materici che trovarono immediata e veloce espressione. Ed è la figura femminile a diventare il paradigma di una rappresentazione che, alienando i connotati specifici e riconoscibili, punta sui volumi plastici e sul dinamismo delle forme: superata la tradizionale ritrattistica, legata all?imposizione di una precisa posa, Pacchiarini dimostra la sua vocazione per una libera interpretazione degli spazi e delle masse corporee che dialogano in modo interattivo in un contrasto spesso acceso tra zone buie e zone straordinariamente luminose, che richiamano la grande tradizione pittorica di un Tintoretto o di un El Greco.

 

Già qui, in questi contrasti cromatici, si può leggere la tensione esistenziale di un artista che sa squarciare il buio più scuro con una prepotente macchia gialla e che, con un gesto ravvicinato, quasi per aderire meglio alla fisicità dell?essere umano, incide i contorni con una sorta di linearismo segnico anche qui veloce e prepotente. In alcuni casi, una linea obliqua, quasi una sferzata cromatica di un rosso intenso, posta in primo piano, da all?opera una forte prospettiva, indicando una successione di piani di lettura.

 

Una pittura ricca di impulsi e di energia, di stesure e di segni che  non conoscono né compromessi né pentimenti.

 

C?è, nelle opere, tutta la storia del novecento, quelle delle avanguardie, c?è, accanto alla geometria di un Cézanne, la veloce sintesi di un Schiele, perfino: ma Pacchiarini non approdò mai a quel sarcasmo e a quel grottesco che divenne denuncia spesso di una classe sociale. Pur dunque attento ai germi di una nuova figurazione, Pacchiarini seppe essere solo Pacchiarini.

 

La critica ufficiale si dimostrò subito attenta alla produzione di Antonio Pacchiarini per quella ?carica fatta di emozione, di passione, di umanità? che la faceva essere ?non pittura di evasione, ma pittura di impegno?. E già nella prima mostra allestita con una trentina di opere ad olio ed alcuni disegni alla Galleria Ilaria di Varese nel 1970, il noto critico G.Franco Maffina individuava nelle opere di questo giovane pittore una ?carica spirituale tutta nuova e squisitamente moderna?. A proposito dei nudi femminili, che mostravano ?la durezza e la violenza propria di questa nostra società?, fatta di vuoti, paure e delusioni amare, veniva segnalata la forza di un colore che è ?sentimento emozione?, ben lontano dalla scontata retorica ancora cara a molti pittori figurativi dell?epoca.

 

Un pittore giovane, dunque, il Pacchiarini del 1970, ma che conosceva il mestiere: così scriveva in  una recensione Rinaldo Corti che registrava nei nudi la presenza di un?angoscia e, a volte, di una ?durezza eccessiva?, unita ad una straordinaria umanità. Insomma, il Pacchiarini del 1970 si rivelò subito fin dalla prima personale come artista da seguire con attenzione, perché sensibile ai problemi di una società dilaniata da grossi problemi.

 

E sempre a proposito della figura, G.Bennati sul Notiziario delle Arti del settimanale Luce dell?8 gennaio 1971 segnalava nel vigore del tratto ?doti scultoree? mentre lo stesso Maffina parlava di ?valori plastici? all?interno dei paesaggi, dove la ?problematica cézanniana  della forma? si rafforzava della ?forza evocativa del colore espressionista?.

 

Alcune opere sulla fame nel mondo denunciano nei tratti spigolosi, nelle masse scarnificate, nelle pose di intensa drammaticità la vicinanza morale dell?artista che, con pochi tratti nervosi e sicuri, con magre pennellate di colore, testimonia l?altra faccia del progresso. Pacchiarini testimone del dramma del suo tempo, pittore del vuoto e del silenzio, in un?adesione morale che diventa umana pietà per quegli occhi destinati a spegnersi.

 

Anche il paesaggio diventa in Antonio Pacchiarini pretesto coloristico e gestuale: grandi campiture geometriche, contrasti accesi tra aranci e verdoni, muri di case bianchissimi, cieli e acque di un bleu quasi nero, improvvisi lampi cromatici che tagliano lo spazio aereo che sanno provocare lo sguardo dell?osservatore che ritrova in questi paesaggi vegetazioni arboree, case, piccole radure e dolci promontori, balenii di luci sfolgoranti che si riflettono nelle acque di un lago.

 

Lo stesso G.Franco Maffina, in una recensione del 1972 per il giornale La Prealpina di Varese scriveva: ?Pur gravitando nella cerchia coloristica dei Fauves egli esaspera notevolmente e continuamente la tavolozza con impennate impressionistiche per poi ricorrere, nei paesaggi, a una specie di barbarico ordine costruttivista quasi fosse un Cézanne rivisitato da  Sironi con echi sentimentali delle esperienze di un De Stael.

 

Colore e forma assieme, o meglio il colore che diventa nel gesto forma, massa e volume: nonostante la ruvidità dell?impasto - e ben si leggono le sferzate quasi ossessive di bianco sui muri delle case - l?opera conserva integra la sua poeticità ravvisabile anche in alcuni spazi appena sfiorati dal pennello, che lascia intravedere la rugosità della sottostante tela, facendo così  respirare l?intera visione. E ben scriveva Mario Portalupi nel 1972 indicando il Pacchiarini come artista che ?sta al sommario, al sugoso, al limite figurativo che consente di riconoscere che cosa rappresenta un suo dipinto?.

 

Dipinti contenenti un fluido - si direbbe - panteista: e, in effetti, si sente, nel colore, pulsare una sorta di energia cosmica che si distribuisce sul paesaggio in sequenze verticali e orizzontali, ma anche in ritmi più ondulati e mossi.

 

E nel 1973 sulla rivista francese ?La Revue Moderne des Arts et de la Vie?il critico introduceva la breve recensione definendola ?partisan fougueuz de l?action painting: le carmin, le vermillon, le violet, le mauve jaillisent sur la toile en larges coups de brosse généreusement étalés sans que l?on sache trop s?il s?agit d?incendie, de tempete, de cyclone, de simoun ou?tout simplement de mirage?.

 

Ma Pacchiarini andò oltre: e già in alcune tele del 1972 si leggeva una sorta di continuità tra elemento umano e vegetale, in  una simbiosi metamorfica e surreale che si arricchirà di nuovi colori e di nuove sperimentazioni.

 

Uomo e natura assieme, per un racconto della condizione umana, semplicemente così come appare, spoglia di smalti e orpelli, a volte inquieta a volte sofferta: un entrare nella vita segreta, nell?io più profondo, fatto di arsure e di tempeste, di vento e di mutilazioni come la natura, e, come la natura, la grande capacità di rinnovarsi e di crescere  nonostante tutto.

 

Pacchiarini dunque partecipe dell?intero ciclo naturale, dentro e fuori contemporaneamente, in maniera passionale e razionale, sempre assieme, con quella consapevolezza del mistero dell?esserci che diventa presenza e testimonianza.

 

Nel 1973 Bruno Mainardi segnalava la nascita di una nuova stagione pittorica, un?evoluzione dell?espressionismo che manteneva gli strani silenzi, le angosce e le inquietudini, in una pittura figurativa quasi al limite dell?astrattismo:  è la presenza di radici e tronchi contorti ?che fanno pensare a un mondo vegetale in via di distruzione?.

 

Una simbiosi tra uomo ed essere vegetale, di straordinaria forza espressiva ed emotiva: anche qui, veloce il gesto, chiara la composizione dell?intera struttura che privilegia elementi lineari e sinuosi. La figura umana, vuotata di carne e di speranze, sta al centro di un groviglio di tronchi e di rami, diventando lei stessa elemento arboreo, innesto vegetale, radice aerea. Se è il colore scuro della terra a dominare in prima battuta, attraversata anche da scaglie solari che richiamano la germinazione perenne della terra, sempre generosa, la secchezza filiforme e prolungata delle articolazioni, segnate da tratti incisivi scuri violenti e impietosi domina la centralità di una rappresentazione che si svolge in prospettiva verso il centro dell?opera: l?esplosione di un grembo solare giallo oro, trattenuto da convergenti tronchi e  rami, fa sperare che forse non è ancora tutto perduto e, d?altra parte, il cielo che si spande intorno è azzurro. In altre opere, i gialli convivono con i rosa e gli aranci: una storia questa dell?uomo nella natura che definisce il suo aspetto quotidiano nella presenza di oggetti reali, di spazi vissuti, quali terrazzo di casa. E qui l?intersecarsi tra forme rotonde e forme ortogonali, quali un muretto o una finestra, sembra alludere all?eterno dissidio tra ordine e disordine, tra caos e cosmo.

 

Una metafora organica che è apocalittica e rigenerante contemporaneamente, una tensione visionaria che si carica della drammaticità di un Blake, il Blake delle xilografie, e che si arricchisce della simbologia allusiva e metaforica di un Graham Sutherland, che già negli anni sessanta esponeva le sue opere nelle gallerie italiane assieme ad un altro grande Francis Bacon.

 

Il paesaggio, turbato dalle irrequiete forze vegetali, da quell?albero che, spogliato delle sue chiome, assume la valenza archetipica di un totem o di un menhir, diventa luogo sacro dove si compie il tempo storico e il tempo senza tempo, quello eterno, perché eterna è la ferace vitalità dello spirito della terra, perché nella stessa distruzione c?è la promessa di una rinascita, di una nuova resurrezione. E sul giornale di Varese La Prealpina del giugno del 1975 Mario Silipo definiva il ?connubio uomo-natura? il tema di un nuovo ciclo, che nasceva da un processo di ?osmosi morfologica? e ?dall?atto di continua accusa verso l?uomo che ha brutalmente voltato le spalle alla natura?.

 

Ma nel 1975 Pacchiarini aveva già fatto altri passi avanti: la figura umana diventa dominante, la testa assume proporzioni e deformazioni inaspettate, la figura si scompone in sequenze e ritmi, e frammenti di carta arricchiscono l?intera composizione: ma è quella sorta di urlo rosa, comunque non nero, a provocare lo spettatore a una lettura più analitica. La grande stagione picassiana che nel 1927 era iniziata con la rappresentazione di forme organiche e metamorfiche e che aveva fatto del viso il luogo della dislocazione e dell?ambiguità, proponendo invenzioni formali uniche e inedite, si arricchisce dell?esperienza di un Bacon che sovrappone vedute frontali e di profilo, che insiste su un dettaglio realistico, quale la bocca spalancata ad esempio, per intensificare l?atmosfera enigmatica, che distorce l?apparenza senza perdere il nucleo centrale della verosimiglianza. L?uomo di Bacon si somma al regno naturale di Sutherland, con in più una partecipazione umana di grande carattere morale.

 

E come Picasso già nel 1913 aveva cominciato ad utilizzare il collage per una nuova codificazione del cubismo, così, i collages, i reperti del quotidiano entrano, a decorrere dal 1974, nei quadri di Antonio Pacchiarini: sono fotografie di oggetti, strappi pubblicitari che entrano con la loro storia nella storia del singolo individuo. Fotografie viste sui giornali e sulle riviste, a colori, che diventano pezzi di società e colore. Tessitura perfino,  in una complessità straordinaria ma sempre controllata dello spazio pittorico e architettonico.

 

Un Pacchiarini che vive il quotidiano, che osserva, sceglie, scarta, taglia, incolla, in un atto quasi salvifico di ciò che sarebbe condannato. Una sintesi - vedasi le opere del 1978 - di pittura e ritagli incollati, di natura morta e di figure, di paesaggi e geometrie.

 

E, per finire, ancora il paesaggio: Antonio Pacchiarini torna sul suo lago, sulle sue acque e sui suoi sentieri: quadri scuri, rischiarati da piccoli interventi bianchi sulle cime delle montagne, sul tetto di una chiesa, ad esempio.

 

Opere silenziose, bellissime: la natura è ritornata qui intera, col suo mistero, con la sua semplicità che dissolve paure e angosce, pronta a donare quella pace a chi la cerca, lontano dal rumore e dai boati, dalla frenesia rumorosa e frastornante.

 

Nella natura si disperde ogni cosa, in modo silenzioso, scivolando su quell?acqua che entra nello sguardo e nell?anima.

 

E? giunto il tempo che la carne si dissolva e che lo spirito si levi libero nell?aria senza paura.