Antonio Tolve

Dipingere vuol dire sfiorare con mano la quiete, tracciare una bava di luce per far apparire i corpi generati dalla messa in scena mentale. Vuol dire, ancora, concretare il proprio pensiero, la (s)pura immagine priva di peso percorsa e percossa da zone oscure che abbagliano. L'artista si misura continuamente con i propri fantasmi, con i lacerti dell'io che richiedono- nella vertigine bianca che spaventa - un inenarrabile definizione. " nel fare spazio parla e si cela contemporaneamente un accadere" (Heidegger ). Lo spazio generato da Laura Favorini, giovane pittrice romana, traccia grumi di luce che scintillano e trascorrono l'immagine, contornandola e ad un tempo levigandola. Un'immagine che appare, che sorge dal buio visionario dell'inconscio. E' come guardare fuoriuscire dei corpi dalle caverne di Platone, è come smascherare le ombre, illucidire i sembianti, le serpi che si contorcono al sole. L'operazione eseguita da Favorini annulla il tempo e statuarizza il corpo che ritrae, che inchioda alla superficie, insertando, in un nodo inscindibile, il doppio regno classico e romantico. i modelli rappresentati nella sua pittura vivono una stessa aurea di sospensione monumentale, di antico. Tutto è impietrito per sgusciare necessariamente fuori dalla storia, come pietra che trapunge ogni colore. Sono detemporalizzazioni, o meglio slittamenti sovratemporali che vivono di acute dilazioni, di pause, di virgole azzurre. Questo è il motivo fondamentale che dispiega il meccanismo di lettura delle opere di Laura Favorini, opere in cui soggiace ancestralmente un velo, melanconico, irredimibile. Un teatro smisurato che accoglie molte fonti artistiche : da Caravaggio ai caravaggisti, ai maestri del Novecento, Dalì primariamente, ma anche e forse anzitutto, gli affreschi delle chiese a cui l'artista rinnova ( da restauratrice ) il colore con sapienzale maestria.