Dante maggio
Nel linguaggio della critica d’arte, in alcuni manuali, la pittura viene definita timbrica quando i suoi colori sono usati allo stato puro e nella rappresentazione compaiono con chiarezza e precisione di contorni. Al contrario la pittura viene definita tonale quando i suoi colori sono intimamente mescolati tra di loro sconfinando dai propri contorni in una infinita gradualità di toni.
I colori che Antonino Puliafico usa nella sua pittura hanno uno spessore, una materia da palpeggiare voluttuosamente quasi con desiderio nascosto di apprenderne il sapore e gustarlo nella sua infinità di toni.
La sua è una pittura rapida, da consumare in fretta, ma con prolungati retrogusti che infondono sapori diversi ma ben netti come in una dimensione timbrica. Sono i vari timbri del rosso, del giallo, dell’azzurro che ci vengono incontro per narrarci con il loro spessore: tre case poggiate tra onde di verde, un muro di aria e di acqua pieno di azzurro, un cespuglio carnoso di vari colori, un albero dalle trasparenze colorate e un racconto di pesca con personaggi omerici.
Questi Racconti, rivestiti da un panneggio cromatico di spessore quasi carnale, semplici ma intensi, si svolgono spesso con una esecuzione che non dura più di una seduta. Il piacere che Antonino Puliafico prova nel dipingere è di carattere tattile nonché sonoro perché ascolta, come in una piccola sinfonia personale, il ritmo frenetico dello scalpitio della spatola sulla tavolozza smorzato dall’impasto sapiente della sua composizione sulla tela.
Ritorna prepotente il suo paesino nativo di Furnari, in Sicilia con il suo mare, le sue campagne e i suoi ricordi, perché oggi vive lontano, a Verona.
Dante B. Maggio