Orazio Vancheri, pittore e critico d'arte
L’arte di Antonella Torquati si incentra intorno ad alcuni modi del vedere e del pensare della pittura contemporanea. Essi evidenziano ora aspetti prettamente formali, ora interpretazioni soggettive che sfumano verso una sorta di espressionismo surreale, sia esso inteso come forme e come colori.
Le opere realizzate con questo particolare stile espressivo sembrano riprendere il discorso pittorico dei graffiti dell’Isola di Sulawesi, sebbene siano passati 40.000 anni, da essi discendono per costruzione ed armonia.
La trasparenza e sovrapposizione dei soggetti rappresentati, la loro delicatezza espressiva fanno rivivere le stesse emozioni avvertite al cospetto delle mani raffigurate nel calcare delle grotte.
L’esempio tipico Antonella Torquati ce lo fornisce con la sua opera “Renascor”. L’ampiezza dei contenuti, soprattutto concettuali, ci parlano di questa figura rapita dai suoi lontani e perduti ricordi nei quali si intersecano, attraverso lampi di luce, sensazioni che emergono e fuggono verso l’acquarello della lontananza. Le mani rappresentate nelle grotte di Sulawesi sono presenti in astratto in quest’opera.
Ma l’artista non si ferma a questa esperienza, va oltre e ci propone “Blue Mood”. Bellissima figura femminile che si esprime principalmente con il rosso vivo delle labbra, come per indirizzare l’attenzione dell’osservatore, in contrapposizione allo sguardo melanconico e perduto in due occhi che racchiudono il languore di un ricordo. In quest’opera c’è tutto il contenuto dell’arte di Antonella Torquati. Quanti e quali pensieri attraversano la mente di questa donna che sta cercando di dirci qualche cosa oppure sta aspettando che ci si rivolga a lei per capire insieme il mondo che separa la sua mente dai suoi occhi!
Quante altre emozioni ci riserva Antonella Torquati.
Le sue creazioni sono vive e ogni opera si schiude quando si sente osservata e si offre all’osservatore per svelare la sua intimità e scoprire se ogni tratto, ogni sfumatura di colore sono stati recepiti.
Sicuramente in “Airport” non possiamo soffermarci all’apparenza. Non si tratta di una mera rappresentazione di un vissuto del luogo. Lo sfondo, l’aereo, i palazzi dello scalo sono solo la scenografia. L’anima dell’opera è tutta racchiusa nei personaggi in primo piano, i quali inconsapevoli di essere osservati e non curanti del mondo di bagagli, avanzano presi uno dell’altro immersi in piani di luce che racchiudono la loro intimità.
“White horse”, in linea con le opere fino ad ora commentate, rappresenta una ulteriore evoluzione verso l’espressionismo surreale di Antonella Torquati. Il disegno del cavallo appare accurato nella forma e nell’espressione mentre emerge, con una irrequietezza controllata, dalla stalla ricca dei colori caldi della biada.
In “Frog” l’artista abbandona quasi del tutto la forma ed esplode nell’astrazione. Di formale, seppure stilizzata, resta la ranocchia che forse vuole entrare a far parte della composizione pittorica ma è il colore che pervade l’opera lasciando libera la mente dell’osservatore di immaginare l’ambiente.
L’arte di Antonella Torquati spazia anche verso il formale per rappresentare, seppure in chiave non classica, atteggiamenti che mirano alla bellezza intrinseca non priva di suggestione.
“Il piccolo profugo” è una di queste opere ove è palpabile l’accostamento al formale ma rappresentato sapientemente in chiave espressionista. Ne discende una scena di forte movimento emotivo racchiusa in un contesto di lampi di luce ai quali ci ha ormai abituati l’artista.
L’arte è nel sangue di Antonella Torquati.
Il suo sangue trabocca di luce e torna a mescolarsi con l’arte primordiale dei graffiti affinché possa essere rinsaldato il legame tra il passato e il presente.