Lamberto Ciavatta

Ho conosciuto Claudio Trecci a Nettuno. Esponeva alcune sue opere in un giro di mostre organizzate dal giornale Il Messaggero.

Fra tanti non passava inosservato, anzi si faceva notare non solo per la giovane età e per pitture da "grande", ma soprattutto per il messaggio nascosto che quelle opere infondevano anche senza attentamente osservarle. C'era in loro, nella loro oscurità, una luce intensa, rara, pregna di significati e di valori. Nelle semplici "Pannocchie di mais" trasudava il sudore contadino, la luce brillante del sole, seppur quel fondo nero sembrava volesse oscurare e sminuire il duro lavoro. I volti tristi, i colori autunnali, la fatica e il dolore dell'uomo si legge in ogni sua opera.

1974