Mario Chiodetti
La pittura di Carla Pugliano è il trionfo della volontà, il desiderio ossessivo di dare una scolpitura ai pensieri, fissandoli nella pelle madreperlacea delle sue figure, nella sottile inquietudine dei volti, nell’intrico dei corpi dove maschile e femminile si mescolano formando figure arcane, sprigionanti corrosiva passione.
La nudità è un pentagramma su cui l’artista compone la sua melodia, il contrappunto e l’armonia, cercando a volte cromatismi arditi, che graffiano la mente e insegnano che la bellezza è inganno e a volte sofferenza, e impone una profonda e dolorosa immersione dentro sé stessi, un’analisi spietata che conduce ai confini del tempo.
La plasticità dei corpi, l’erotismo a volte algido altre furioso, mostrano l’eterno dualismo tra luce e ombra, acqua e fuoco, amore e morte, ma se l’uomo tende al sublime, il rovello della mente ne frena spesso il volo, consumando energia e mutando la felicità in angoscia e smarrimento. Il mito però lo insegue, spalancando finestre di meraviglia, raccontando silenzi e mostrando l’origine dei sentimenti, gli equilibri e le cadute, il fondo del sacco, dove giacciono le speranze perdute.
Il corpo della donna è una geografia di pensieri, una battuta d’aspetto, l’artista lo rappresenta in una sorta di danza onirica, nudo e trionfante ma a volte sconfitto, dilaniato dai sensi di colpa, avvinghiato al suo presente e al suo passato, teso alla spasmodica ricerca del divino. Spesso lo sguardo è basso, gli occhi sono chiusi oppure mirano lontano, ad altri mondi, a immagini di sogno a lungo ricercate, all’origine del tutto. La bilancia è in bilico, la nostra infinita vanità sembra non ascoltare il sibilo della morte, ma il Tempo è in agguato e ci rivolge la grande domanda del Finale: aperto o chiuso?
Carla, senza auto compiacimenti estetici, gioca con le ombre, le cattura e le sconfigge con il lumeggiare volti, muscoli e nervi, suggerisce che nulla è mai come sembra, e la maschera di felicità che indossiamo spesso nasconde un volto segnato dall’amarezza, l’aquila ci solleva verso l’eternità del perdono, ma il serpente riporta alle tentazioni dell’esistenza, al buio dell’ignoranza e del peccato.