Marta lock

Il fluire dell’esistenza tra luce e ombre nelle sperimentazioni pittoriche di Carlotta Mantovani

L’osservazione dell’alternanza dell’esistenza, di tutte quelle modificazioni e trasformazioni che inducono l’individuo a riflettere su se stesso, a volte sentendosi trascinato dagli eventi, altre invece protagonista, è stato oggetto di studio di tutta quella categoria di creativi che non riuscivano a rimanere dentro i confini della figurazione, ad autolimitare il loro campo di riflessione solo perché lo sguardo non era capace di andare oltre e abbandonare il conosciuto per spingersi verso diversi livelli di profondità. Il distacco dall’immagine permette all’artista di mettersi in contatto diretto con il mondo interiore, quello attraverso cui lasciarsi andare al movimento della vita pur essendone attore principale. La protagonista di oggi si spinge verso la rinuncia alla forma arricchendo la sua ricerca di tecniche del passato che possono essere riattualizzate e adattate al suo stile pittorico.

Il percorso di riappropriazione del mondo emotivo escluso dalle avanguardie del Ventesimo secolo per cui tutto ciò che doveva essere centrale era la razionalità, la scientificità, lo studio della geometria, della non forma, della prevalenza della purezza del gesto plastico su tutta la realtà osservata, ebbe inizio intorno alla metà degli anni Quaranta del Novecento, quando un gruppo di creativi statunitensi, molti dei quali con origini europee ma costretti a fuggire dalla loro madrepatria nel periodo bellico, reclamarono con forza la necessità dell’arte di legarsi al mondo emozionale, di affondare le radici nella sfera soggettiva dell’esecutore dell’opera per poter raggiungere e a volte travolgere l’osservatore. L’assenza di forma conosciuta, di una struttura visiva che avrebbe indotto a soffermarsi sull’estetica, sull’approccio visivo piuttosto che su quello intuitivo, era essenziale per donare libertà espressiva, assecondata al carattere e alla naturale inclinazione di ciascun componente del gruppo, così come per riallacciarsi a quelle anticipatrici intuizioni del padre dell’Astrattismo, Vassily Kandinsky, che poi vennero sovvertite e superate dai movimenti successivi. Nell’Espressionismo Astratto invece la realtà era quella del sentire, solo le emozioni e l’impulso pittorico costituivano la base esecutiva, senza regole, senza schemi da osservare se non quello dell’autonomia espressiva; dunque l’istinto quasi irruento di Jackson Pollock poteva convivere con la silenziosa meditazione di Mark Rothko, così come il monocromo minimalista di Ad Reinhardt poteva affiancarsi alla leggera delicatezza di CY Twombly perché la legge che regolava gli appartenenti al gruppo era quella della spontaneità, della naturalezza proveniente dall’interiorità per poi raggiungere la tela. Quella corrente pittorica costituì l’anticipazione, nonché l’evoluzione naturale del percorso dell’arte, di ciò che sarebbero diventati gli anni seguenti, aperti all’interazione, all’apertura e alla libertà che sfociò nella contaminazione e nella mescolanza tra stili differenti, spesso evoluzione di tutto ciò che c’era stato prima. Non solo, il linguaggio diretto e senza filtri da parte della mente razionale aveva, e ha ancora oggi, la capacità di parlare in modo intenso all’osservatore, coinvolgendolo attraverso le corde interiori che non possono fare a meno di vibrare davanti al mondo al femminile di Helen Frankenthaler, o dei segni essenziali di Franz Kline oppure delle atmosfere suggestive di Barnett Newman. L’artista emiliana Carlotta Mantovani assorbe l’esperienza di autonomia espressiva delineata dall’Espressionismo Astratto ma la rivisita sulla base della sua esigenza interiore, intesa come percorso necessario a prendere coscienza, a entrare in contatto con quel mondo sotterraneo che solo in virtù dell’arte può riuscire a emergere e a far sentire la sua voce. Non solo, ogni opera rappresenta un mondo a sé, un costante studio della tecnica più affine al momento che sente la necessità di immortalare, meditando su quale sia lo stile in grado di concretizzare al meglio il suo sentire; la gamma cromatica di conseguenza non può non essere funzionale all’emozione narrata, assumendo tonalità e caratteristiche sfaccettate e diverse tanto quanto poliedriche e mobili sono le sensazioni della Mantovani nel momento in cui comincia il suo dialogo con la tela. Quando desidera abbandonarsi a quella mobilità, quel costante fluire eracliteo che spinge verso la consapevolezza della perpetua evoluzione, del continuo movimento della realtà in correlazione non solo al punto di vista dell’individuo ma anche della fase della sua vita e dell’esperienza fino a quel frangente acquisita, allora le tonalità sono chiare, acquatiche proprio perché l’acqua è l’elemento che più di tutti rappresenta lo scorrere di ogni istante, irripetibile e pertanto diverso dal precedente e dal successivo. Quando invece ha bisogno di affrontare, capire ed esorcizzare fantasmi, timori, paure che inevitabilmente investono la coscienza e l’interiorità in alcune circostanze imprevedibili e non decise, le atmosfere si fanno più ombrose, più cupe perché a volte è necessario immergersi nel buio e nel silenzio per apprezzare o intravedere con maggiore lucidità il ritorno della luce; in questa serie di opere è evidente l’approccio differente di Carlotta Mantovani, quel soffermarsi sull’oscurità il tempo necessario a prendere coscienza degli accadimenti, frazionarne le sensazioni da essi provocate e riemergere a una nuova e inedita coscienza di un sé più evoluto, più saggio esattamente grazie all’ostacolo, alla possibilità di attraversare il buio per trovare il modo di uscirne. L’opera Oltre confine nel profondo si lega a una fase delicata del cammino dell’artista ma anche dell’intera umanità, quella della pandemia, durante la quale tutto sembrava essere immobile, senza via d’uscita, con il timore che quell’episodio divenisse una nuova normalità; la Mantovani sembra invitare l’osservatore a riflettere, a meditare e a trovare dentro se stesso la linfa per credere che tutto può prendere una strada diversa se solo si è capaci di attingere alla forza e alla determinazione che è dentro ciascuno. Lo stile espressionista astratto si unisce a una tecnica simile al Puntinismo laddove però in questo caso i puntini di colore non vanno a costituire l’immagine finale bensì semplicemente approfondiscono ed enfatizzano quell’invito a entrare nel vortice delle proprie emozioni e convivere con esse. Nel suo buio non c’è mai la totale oscurità, ciò che sembra predominare, malgrado tutto, è la luminosità del sentire, delle emozioni umane che restano la sola e unica guida in un mondo estraneo che sembra seguire logiche completamente diverse, persino opposte, a quelle della felicità e della serenità del singolo. Infatti il dipinto La forma del buio, anch’essa realizzata con la tecnica del Puntinismo applicato all’Astrattismo, descrive il buio come una forma di luce, come se tutta la vita che passa e che è passata nell’arco dell’esistenza avesse lasciato una scia lucente e intensa, la certezza di rinascere e rialzarsi da qualsiasi notte. Nelle opere più acquatiche invece la scelta dei colori si inverte completamente, la luce predomina e diviene protagonista attraverso il riflesso sull’acqua, metafora di uno scorrere che corrisponde a quello del tempo, delle esperienze, delle consapevolezze, di quella crescita personale verso cui l’essere umano inevitabilmente tende pur essendone a volte inconsapevole; Carlotta Mantovani invita invece, attraverso tele come Acquaticamente o Grembo liquido, a consegnarsi a quell’ineluttabile galleggiamento in grado di condurre l’individuo nel posto migliore, quello in cui deve giungere per ampliare la sua conoscenza, la sua autoconsapevolezza, il suo evolversi e arricchire un’interiorità che ha costante bisogno di sperimentare, di mettersi alla prova, di alzare l’asticella del proprio limite. Le opere di questa seconda serie giocano sulle tonalità morbide del celeste e dell’azzurro, alcune più legate all’aria e al cielo, a loro volta elementi di movimento, di volatilità, altre invece più propriamente fluide, acquatiche appunto. Le prospettive sono decontestualizzate, scomposte o collocate all’interno di una finestra spazio-temporale, proprio per infondere nell’osservatore il desiderio di immergersi anche per un solo istante dentro quel silenzio fluttuante in cui ritrovare la protezione primordiale, quella del grembo materno, per poi riaffiorare con una sicurezza in se stesso rinnovato, certo che proprio attraverso la capacità di ascoltare le energie che corrono su un filo diverso dalla razionalità, tutto possa essere possibile. Carlotta Mantovani, diplomata all’Accademia di Belle Arti di Ferrara e con un passato come illustratrice, ha attualmente all’attivo la partecipazione a molte mostre collettive in Italia, ha ricevuto il Premio La Nike di Samotracia, conferito dalla l'Associazione Galleria Centro Storico di Firenze, il Premio Mercurio d’Oro, conferito da ArtExpò Gallery e il Premio internazionale arte contemporanea Isabella d’Este conferito da ArtNow.

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