Leo Strozzieri

“La trascendenza del reale”


Carmen Manco nasce  il 3 luglio del 1962 a Taranto. Dopo aver conseguito la maturità scientifica, compie gli studi universitari presso la facoltà di Magistero dell’ Università di Lecce e parallelamente intraprende un’intensa attività artistica che la porterà ad essere una delle voci più significative della ricerca iconica italiana al femminile.
 Solida la sua cultura visiva con particolare interesse rivolto alla stagione dell’Impressionismo che sappiamo essere stato un movimento apologetico della soggettività dell’artista con la predilezione per la pittura  del paesaggio e l’interesse per il colore prevalente sul disegno. Poi , determinante il dipingere en plein air con la conseguente attenzione all’elemento luce, cangiante nelle varie fasi della giornata. Ecco, la nostra artista nel perlustrare le varie esperienze dei massimi rappresentanti dell’impressionismo confeziona repertori ideali composti da elementi che rimarranno costanti nel tempo vuoi per la sua produzione paesaggistica e quella delle nature morte, come anche allorchè affronta i  temi della donna e dell’infanzia nel mondo. Stiamo parlando soprattutto della luce in grado di creare da sola, senza l’ausilio grafico, una dinamica interna all’opera nella convinzione che nel mentre essa permea e direi penetra nelle intime fibre dell’icona, si fa strumento di ornamento, di arabesco,di decorazione intesa come scrittura armoniosa dei valori estetici.In tal modo Carmen Manco si schiera contro quei settori della critica che guardano con disprezzo i sentieri decorativi, paladinini come sono di un’arte di radicale ispirazione etica e sociale. Lei invece non nasconde la sua letizia nell’evocare lo splendore della natura, degli oggetti o della figura femminile sorgente quest’ultima di suggestive aperture al mistero e al perimetro onirico. Le donno, e forse non va esclusa circa quanto stiamo dicendo una certa anche se  discreta apertura autobiografica, nelle sue opere,per la tonalità sovente quaresimale della colorazione, ricca di sfumature e vibrazioni segniche, riportano a quel mondo del sogno che da sempre esse evocano; il sogno nella sua irrealtà che diviene poi testimone del mistero, intrinseco a questo straordinario essere a cui è affidata la sopravvivenza dell’umanità.
L’opera di Carmen Manco va letta nella sua sostanziale sfavillante freschezza luministica e per l’angelica trascendenza, in virtù della quale ogni elaborazione plastica dei corpi mantiene una pudica distanza dal terrestre, divenendo così archetipica di una visione stilnovistica della donna. Eppure è esclamata in lei l’opulenza delle forme anatomiche che sottintende un sentimento di riappropriazione della propria femminilità al di là e al di fuori di ogni tessitura pubblicitaria del corpo che nell’epoca contemporanea è divenuta davvero insostenibile e dissacrante. In una mia testimonianza scritta qualche anno addietro per la nostra brava artista pugliese rincontrata in occasione di una rassegna a Manfredonia dove le fu attribuito un ambito riconoscimento critico,ebbi a parlare di vena elegiaca presente in modo assai evidente nelle sue opere. Mi riferivo in particolare alla straordinaria suite di dipinti dedicati al tema delle donne le cui posture appaiono raffinate, adolescenziali eppure determinate. Ma l’osservazione penso valga altresi per la produzione paesaggistica e per le numerose nature morte. Nel primo caso sono le gamme tonali antinaturalistiche ma al contrario più intimistiche a suffragare questa lettura, mentre nelle nature morte il prezioso assemblaggio dei vari elementi iconografici, l’artista con raffinata perizia riesce a prosciugarlo nella sua tessitura veristica, offrendo così un suggestivo scenario crepuscolare degno di affiancare, per fare un riferimento poetico, i versi migliori di un Guido Gozzano. E come già per il suddetto movimento letterario di inizio ‘900, anche per Carmen Manco si attua una progressiva emancipazione di forme auliche e classicistiche che si riscontrano ad esempio in alcuni suoi colleghi artisti operanti sul versante della figurazione. Basti pensare, per citare un esempio emblematico agli esponenti della Nuova Maniera Italiana, criticamente sostenuta da Giuseppe Gatt. In lei nulla di tutto questo, nulla di eroico e nessuna evocazione mitica sebbene abbia eseguito qualche opara a tema mitologico come “Esperidi” che sono figlie della notte: la realtà da lei dipinta è  del tutto quotidiana; riprovevoli ritiene anche certe rivendicazioni femmeiniste forgiate al vivo fuoco della contestazione, innamorate della donna guerriera e dominatrice. Un’ultima annotazione riguarda il fatto che mai le sue figure sono in simbiosi con altre figure o con l’ambiente circostante, eccettuate alcune opere inneggianti la maternità:in questi casi si respira una lieve carezza di zefiro attestato dalla dolcezza dei pargoli che sembrano stingere nel loro verismo, quasi fossero affreschi rupestri. E’ la solitudine che seduce per la vastità degli orizzonti, che lasciano intravvedere una misteriosa profondità di pensiero che va ben oltre l’attrazione edonistica che le levigate e suadenti forme anatomiche possono suscitare. In tal modonCarmen Manco ci insegna a leggere con giudizio il pianeta donna e al tempo stesso latore di un senso profondo di appartenenza alla terra; Probabilmente qualche lettore di questa mia testimonianza sull’artista avrà la percezione di trovarsi dinanzi ad un testo poetico, più che a un testo critico come comunemente inteso:come dargli torto? Perché in effetti, nella ricerca artistica di Carmen Manco, la manualità tescnica, gli artifici stilistici, le categorie formali, gli innesti linguistici che pur appaioni evidenti come si è etto ad esempio facendo riferimento all’Impressionismo:tutto passa in secondo ordine rispetto alla schiettezza lirica che queste opere emanano. Vale a dire che la poesia in lei sovrasta la grammatica e la sintassi visiva asservite unicamente al magico perimetro del bello, l’autentica finalità dell’arte.