D.ssa Marta Lock

L’Informale di Claudio Detto, tra occasioni perdute e l’importanza del tempo

La sensibilità artistica contemporanea si lega indissolubilmente a concetti che in passato sembravano non avere la rilevanza che emerge invece nella vita attuale, quel senso di esistenza fuggevole che non può non colpire l’autore di un’opera tanto quanto il fruitore, in un legame di condivisione profonda costituita dalle raggiunte consapevolezze dell’uno e del comprenderle nell’approccio all’arte dell’altro. L’artista di cui vi parlerò oggi si avvale della tecnica astratta per imprimere sulla tela emozioni nostalgiche e per evidenziare all’osservatore la transitorietà di un attimo.

L’Arte Informale nasce intorno agli anni Quaranta del Novecento come evoluzione, o forse sarebbe meglio dire riappropriazione emotiva, dei precedenti movimenti dell’Astrattismo Geometrico, del Minimalismo, del Suprematismo e del De Stijl nei quali l’atto puro del dipingere, spogliato di ogni moto interiore e inteso come studio, analisi, di una forma di cui si doveva ricercare l’equilibrio estetico anche in relazione all’ambiente circostante, aveva dominato la prima fase del distacco netto dalle correnti figurative precedenti. Quell’approccio rigido, distaccato, quasi scientifico giunse ben presto al risultato di perdere il contatto con il fruitore dell’opera che doveva, e voleva, avvicinarsi all’arte attraverso il fluire delle emozioni; fu proprio Vassilij Kandinsky, maestro dell’Astrattismo Lirico, ad aprire la strada al ritorno di un’espressività da cui il gesto pittorico non poteva più prescindere. Sulla scia delle linee guida anticipate da Kandisky nacque negli Stati Uniti la corrente dell’Espressionismo Astratto sotto il cui nome Jackson Pollock riunì una molteplicità di artisti diversi per stile espressivo e per approccio alla tela ma tutti uniti dalla volontà di affermare l’importanza delle sensazioni, dei moti interiori che dovevano raggiungere e avvolgere l’osservatore; il movimento si diffuse in Europa con il nome di Arte Informale che, pur facendo proprie le linee guida statunitensi aveva un approccio meno estremo, meno irruento, fortemente espressivo ma più misurato. Il colore divenne così il mezzo principale per narrare frangenti, sensazioni, ricordi e stati d’animo che non dovevano più essere trattenuti e tenuti a bada dalla mente, dalla razionalità, come era accaduto in precedenza, bensì dovevano essere liberati in maniera istintiva, a volte più irruenta altre più sussurrata o ancora più meditata. Il timore di essere divenuti incapaci di trasmettere e raccontare emozioni degli artisti che videro le devastazioni della Prima Guerra Mondiale, venne così oltrepassato e trasformato in esigenza di manifestare tutto ciò che non poteva restare dentro, perché in fondo l’essenza stessa dell’artista lo induce a comunicare, raccontare, esprimere attraverso l’atto pittorico, la propria sensibilità. Claudio Detto, artista lombardo che rinuncia per molti anni all’inclinazione verso la pittura, giunge all’Arte Informale dopo aver sperimentato altri stili pittorici più figurativi, quasi come se improvvisamente avesse sentito la necessità di liberarsi da ogni schema, ogni gabbia stilistica, ogni legame con un’immagine definita che sopprimeva in qualche modo il bisogno di svelare se stesso, di far sentire apertamente la propria voce che esce in maniera chiara dalle sue opere solo apparentemente ermetiche. Le sue tele sono equilibrate, quasi alla costante ricerca di un bilanciamento, tra la certezza che viene dal passato e la consapevolezza del presente che si consolida anche in virtù degli errori, della presa d’atto della perdita di un attimo che, suggerisce l’artista, non torna, non si ripresenta. In fondo la filosofia di Detto si inserisce perfettamente in un vivere contemporaneo in cui l’essere umano tende a sbagliare per fretta, per distrazione, per superficialità, salvo poi trovarsi a rimpiangere quel frangente che non è stato capaci di cogliere, quell’angolazione che non è riuscito a osservare e che ha determinato gli eventi successivi. Le tonalità scelte evocano il senso di nostalgia dell’artista, i marroncini e gli ocra delle basi attraversati dal nero e dal rosso dei segni, raccontano di una contrapposizione tra la certezza e la solidità del vivere quotidiano e l’improvviso che giunge a destabilizzare quella apparente tranquillità. L’opera L’Arco è particolarmente emblematica di questo concetto, perché l’oggetto accennato nel titolo simboleggia l’occasione mancata, la possibilità mai perseguita che avrebbe potuto proiettare la freccia, intesa come l’esistenza del protagonista di quell’attimo, verso un presente diverso, magari anche migliore di quello reale in cui ha rinunciato a correre il rischio. Nell’opera Oblò Claudio Detto approfondisce il percorso delle occasioni perdute, quella capacità di osservare tutto da un altro punto di vista e di prendere atto dell’erronea immobilità del passato che ha generato una realtà che in fondo spesso non soddisfa; ma lo sguardo dell’artista non è triste o negativo anzi, apre alla possibilità di cambiare atteggiamento, di scoprire un modo di pensare diverso che socchiude la porta a una modificazione, una trasformazione della condizione contingente che conduce a una realtà nuova, a quella speranza che emerge inequivocabilmente dall’opera Spiragli. Dunque colori terrosi quando manifesta la nostalgia e sottolinea l’importanza dello scorrere di un tempo che non può essere arrestato, e tonalità più vivaci e intense quando si sposta invece nel mondo più interiore, quello dei desideri, della vitalità di emozioni che avvolgono il profondo e fuoriescono sulla tela in modo più impulsivo, meno composto dell’attimo meditativo ma sempre misurate, mai tempestose o intemperanti. La tela Dreams pur essendo composta di toni freddi come il verde, il celeste e l’azzurro, tende a infondere nell’osservatore un senso di calore grazie a quelle pennellate contigue tra loro, intersecanti e rappresentanti i sogni che sembrano danzare sulla superficie del quadro in attesa di essere colti, di essere realizzati e trasformarsi in realtà; si sprigiona una solarità di base da questa opera, una fiducia che tutto può accadere e che ogni cosa apparentemente impensabile può diventare qualcosa di possibile. Così come in Carnaby, titolo ispirato dalla vivace ed eclettica via di Londra, i colori scelti narrano di un via vai di persone, di individui che si incrociano e a volte si incontrano, della moltitudine che attraversa le grandi città e che va a comporre, proprio in virtù dello scambio e della contaminazione culturale, un sottostrato più vitale, più eterogeneo e anche molto più aperto alle differenze, ai modi di essere e di vivere diversi eppure tutti in grado di convivere tra loro. Nel corso della sua carriera pittorica, tardivamente ritrovata, Claudio Detto ha partecipato a numerose mostre collettive e premi d’arte nazionali e internazionali, riscuotendo grande successo tra il pubblico e tra gli addetti ai lavori.