Nuccio Mula

IL “BATTITO ANIMALE”, I NUOVI PERCORSI, GLI “ASTRATTI FURORI”

“Io ero, quell’inverno, in preda ad astratti furori”, scrisse Elio Vittorini, primo ed ineguagliato esploratore della sicilitudine; ed al celebre “incipit” di “Conversazione in Sicilia” m’accadde di pensare immediatamente allorché Claudio Guadagna, una sera dopo Natale, lacrimata di pioggia, mi portò ancora una volta nel suo studio; ma stavolta, tenne a precisarmi (e con fare circospetto, come se qualcuno potesse intercettare quella nostra conversazione in un’auto che trasportava solo lui, me, le sue inquietudini, i suoi sogni, i suoi dubbi, la mia frenesia di vedere ciò che, per il momento, mi disse,voleva mostrare solo a me) poiché, disse, m’aspettava qualcosa di nuovo, d’inconsueto, di strano, per un pittore come lui che, fino a pochi giorni prima, aveva ingravidato il suo minuscolo “atelier” soltanto di ritratti e di paesaggi eseguiti in magistrale incedere di realismi raramente trasfigurati; e che invece, adesso, inopinati “furori” nel quieto dipanarsi di un’esistenza “normale”, ed “astratti” oltre ogni richiamo a correnti e canoni, lo avevano sollecitato a riconsiderare, a riscrivere, a riproporsi, a riconfrontarsi, a rimettersi in gioco fra i segni e nel segno dell’Arte.

E che non fosse un banale, normalissimo mutar d’abito, per bizza o per noia, me lo confermarono, qualche minuto più tardi, nel suo studio, le categorie di questa “riconversione”, totale ed incondizionata, su tre basilari direttrici dell’Io ri / creante.

Nei ritratti, di colpo ed in primo luogo; poiché se è vero – come lo è ai fatti, e come lo ha identificato ed attestato la cultura visuale, contemporanea e non solo – che il cerimoniale del “retrahere” si origina, si snoda e si sublima nell’offertorio esterno di un soggetto da “ritrarre” e nel suo contestuale, interno, simultaneo, ludico e drammatico offrirsi e “ritrarsi” ad ogni esteriore tentativo di transustansazione (da cogliere fulmineamente per fissarla, in eterno, sulla tela, sulla materia in apparenza “inerte”, su qualsiasi superficie dell’ingravidarsi e del generare) ebbene, in Guadagna, questo “ritrarre” per nuovi, “astratti furori”, ora va a traguardare e ad oltrepassare persino tutti i camminamenti “canonici”, attestandosi su equilibri e pendìi di denudazione estrema del “Fuori”, al fine di esplicitare (ed in provvidenziale eresia rispetto ad ogni suddetta ritualistica di consolidamento) il vibrare celato e l’esplicito appalesarsi di un “Dentro”, ad individuare ed a ritrarre Anime che non si “ritraggono” per nessun motivo ma che, al contrario, si offrono “in toto”, stavolta, e con tutto il loro spiazzante, inquietante vigore, al radiografare di un Artista rivelantesi acutissimo “fisiomante”, ergo al pari di chi, già dalla notte dei tempi, sapeva, poteva, voleva andare “oltre” il volto, “specchio dell’anima” per essoterica definizione, onde planare, ed in modo immediato e diretto, sugli scali dell’anima stessa, oltrepassando così, esotericamente, ogni specchio e qualsivoglia residuale scoria di ritroso “ritrarsi”.

Ed in questo incalcolato e subitaneo viaggio di “astratti furori” verso il centro dell’Essere, Guadagna diviene, quindi, guida nei dedali dell’umano e dell’iperumano, scortandoci cautamente, ma con fermezza, dentro la “selva oscura” in cui palpita, fra armonie e disarmonie di sonanze, un “battito animale” che, pur differenziato nelle infinite categorie del presentificare, unifica una colonna, sonora e silente al tempo, atta a scansionare, in infiniti rosari del “cum-figurare”, dissolvenze incrociate di evocazioni le quali, nel ribaltamento d’ogni oleografia “esterna”, ergo superficiale e / o mendace, ci risucchiano nel nucleo del loro “interno” (e stavolta vero e “svelato”) riapparire, al fine di additarci, stavolta, l’anima suddetta come “specchio del volto”.

Il quale ultimo, oltre ad animalizzarsi in fattezze (stupefacenti eppur “normali” nel loro manifestarsi) affini ai tratti, alle analogie, alle predisposizioni, alle tensioni dell’interiorità ha, comunque, nel corpo, un ausilio partneriale solitamente inscindibile ed ineludibile: laddove corpi accovacciati in posizioni fetali o totemiche, sapientemente ingigantiti nelle masse o nelle articolazioni o nelle estremità o nelle posture (con un esplicito autocompiacimento dell’inquietare o del rasserenare in ogni loro imprevedibile esibirsi senza ritrarsi) contribuiscono ad ottimizzare l’ “adspicere” originario di ectoplasmi dagli sguardi arrembanti al cuore ed all’anima degli osservatori (sedotti, occasionalmente, ed “a sorpresa”, da pittogrammi di volti meravigliosi, dal fascino antico, forse residuo omaggio dell’Artista ai suoi percorsi passati, forse icone d’un momentaneo rimpianto, forse estremi rigurgiti d’una crisi ormai sostanzialmente superata) dopo essere stati passati ai raggi X dal “terzo occhio” deuteroscopico e denudante dell’Artista; ovvero sbarrati in fissità di follie sottolineate da incombenze di grafismi a fornire ulteriore dinamicità di movimento e di dramma; oppure obliqui, o direzionati in alto, verso quell’Indefinibile e quell’Eterno con cui sono in simbiosi sin da prima del loro formarsi come essenze e presenze, così come lo resteranno per sempre; o, ancora, distanti e dispersi, a carrellare ed a panoramicare su inedite cosmografie di vuoti escludenti anche il nostro osservare; ovvero, infine, a volte serrati in estasi di nirvana individuali, o di sensualissime intese, oppure anche di maternità che rilasciano grazia e poesia allo stato puro: sguardi, in ogni caso, enigmatici, ad indicarci muti ma eloquenti percorsi di interrogazioni e di sollecitazioni altrettanto dirette ed ineludibili nel dare risposte da affiggere su “textures” sospese in essenziali nudità di monocromie o in trasmutante trascolorare attraverso alternanze di grumosità e di liquefazioni (cui l’Artista, maestro del colore, ci aveva adusi e convinti già dai suoi lontani esordi).

Ed è proprio questo particolarissimo incedere che interfaccia, con vigore dialettico, l’ampio spettro configurativo di una duplice gestione tonale delle dimensioni ombrose del colore (inteso, quindi, sia come “chòlos” a maculare inquietudini, sia come “chromìa” di luminescenze e di luci in tutte le soluzioni espressive e sapienziali che ricorrono) ad un “fil rouge” di naturale congiunzione con la seconda direttrice di cui, adesso, andremo ad occuparci, grazie, anzitutto, ad una serie di opere di raccordo intermedio che riuniscono (in dialoghi di ri / creazione, in nozze alchemiche di fusione rimaterializzante ed in viluppi di ulteriori ed inaspettate simbiosi) alcuni di quei volti e di quei corpi ad elementi naturali che divengono, quindi, uteri e suggelli di compresenze e di rinnovate, sorprendenti pulsazioni all’unisono, facendoci indovinare identici rosari di trasmutazioni e coniugazioni di flussi e di palpiti nella seconda direttrice suddetta: laddove, cioè, nell’altra, nuova produzione vedutistica di Guadagna, egualmente pervasa ed invasa da “astratti furori”, poco o nulla rimane dei segni e dei supersegni precedenti, sia in termini espressivi e stilistici “strictu sensu”, sia in chiave di rimandi specifici a quella mediterraneità che aveva generato (fino all’irrevocabile, destabilizzante decisione di rivisitare e riscrivere “in toto” anche questa tipologia di connotazione) i multiformi esiti d’una sicilitudine sicuramente sofferta nel proprio intimo, segreto, sussultante turbinìo, eppur serena, solare, traslucida, spesso abbacinante nei tratti, nei toni, nei volumi, nelle sintonie dei cromatismi e nel cesello delle ottimizzazioni luministiche, singole e complessive.

L’attuale paesaggismo di Guadagna, invece, sdegnosamente scevro da qualsiasi costrizione dell’interfacciarsi ad umori, fattualità e fenomenologie, rivive in trascolorazioni ed evanescenze misteriche, in improvvisi nitori solcati da sussulti cézanniani atti a marcare, con potenza di sentimenti, contorni e volumi, amalgamandoli a scenari riesumati dalle più nascoste cartografie dei camminamenti interiori e rischiarandoli con soffusi equilibri di luminescenze emanate dalle composizioni stesse, che consentono così, e splendidamente, un evaporare tonale abilitato a rilevare ed a comporre, al tempo, ogni contrapposizione compositiva (sia nei paesaggi campestri, a volte dominati da case intuite e proposte come volti d’una materia animata e non più inerte, con occhi e bocche a dialogare con i contesti ed i fruitori, sia, ma meno spesso, in drammatiche marine che duplicano forme e tensioni sull’apparente staticità di un’acqua solcata da barche in monodialoghi di dolorosa consapevolezza), fecondando quest’immensa ed arcana geografia di “interminati spazi” e di “sovrumani silenzi” (Leopardi), di siepi e d’infinito, di epifanie e di eclissi, di maculazioni e magnetismi, di rarefazioni e sussurri, di richiami e sospiri, di fonti nascoste per lavacri lustrali, di agganci a presenze assenti e ad assenze presentificate, in un incantesimo di vedute, sentieri, cunicoli, labirinti che ricamano, fra monti e campagne, fra mosaici di pietre e tappeti di fiori, fra distese ustionate ed offuscamenti fulminei, quell’ “hypertòpos”, “luogo dei luoghi” per eccellenza, costellato da mille provvidenziali oasi di frescura e di rinascita dove ritrovare, finalmente, la chiave perduta dell’Essere e del Vivere, del Dentro, del Tutto, dell’Io.

Scissa, in apparenza, dalle due precedenti (ma costantemente alla ricerca, ad esse rivolta con caparbia dolcezza, di un dialogo d’estetica e d’etica che s’indovina e che deve pur esserci, ancorché celato fra segni ed impulsi, se originata, come lo è, da un’identica placenta di polivalenze) ecco, infine, la terza direttrice, ad esplicitare un irrefrenabile istinto di libertà, espressiva ed umana, interiore ed esteriore, attraverso piani / sequenza di aerofotogrammetrie quasi sempre su sfondi monocromi e per assemblaggi di geometrismi compositi, a rammentarci, più che l’azione ordinatrice di Piet Mondrian, le variabili potenzialmente sussultorie di Theo Van Doesberg, in equilibrio precario fra rarefazioni compositive ed abbordaggi a punti di fuga: “astratti furori” anche stavolta, e nel senso più accademico del termine, per consentire una conclusione almeno al critico, dal momento che la determinazione di Guadagna nel percorrere nuovi tragitti muterà sempre ogni futuro traguardo in orizzonte dell’estro.

Prof. Nuccio Mula

Teorico della Percezione Visiva e di Psicologia della Forma

Docente universitario di Filosofia dell’Immagine

in Accademia di Belle Arti

scrittore – critico multimediale

Componente dell’Associazione Internazionale Critici d’Arte


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