GERARDO DI MARTINO , DOTTORE IN LETTERE E FILOSOFIA
Ogni opera di Cristina Patti (in arte “Crista”), pittrice palermitana nata il 23 maggio 1982, è il frutto di un’intima introspezione: sulla tela stati d animo, sensazioni e sentimenti si concretano nelle sembianze di donne voluttuose e leggiadre, permeate di un erotismo e di una sensualità mai volgare o fine a se stessa.
Osservando la produzione di Crista, si può constatare come proprio la figura femminile sia il tema prediletto, affrontato secondo una interpretazione del tutto personale: l’artista attraverso queste donne scevre di alcuna dimensione temporale, dalle forme intenzionalmente manieristiche ma al tempo stesso aggraziate, tenta di far percepire all’osservatore il suo “essere”, di commuovere lo spettatore nel senso primigenio del termine: spingerlo a provare emozioni, “agitare il suo animo”. Ed a questo scopo contribuisce anche la palette cromatica assai ricercata: la scelta dei colori non è affatto casuale o semplice elemento esornativo, ma è essa stessa frutto di una selezione mirata, nel tentativo di animum movere.
Si prenda, ad esempio, Aretusa (Vacua e lenta la discesa nell’ oblio): la figlia di Nereo e di Doride, nella specifica narrazione di Crista, piuttosto che essere raffigurata già come fonte – come narra la leggenda - mantiene ancora sembianze umane sebbene, ad una visione più attenta, si nota come sia già in atto il metamorfismo e la nostra cominci ad abbandonare le fattezze di leggiadra ballerina. La figura si lascia armoniosamente andare lenta, leggiadra ed abbandonata ai flutti, immersa nell’elemento naturale fonte di vita per eccellenza: l’acqua.
Nel “Canto del mare”, quadro realizzato in estemporanea durante una tre giorni artistica a Cefalù , la fusione tra l’elemento femminile e quello liquido appare ancora più evidente. Vi troviamo ritratta una Sirena: l’aspetto ittiforme della protagonista ha preso il sopravvento su quello antropico, la coda sinuosa e quelle che erano una volta mani, e che ora sono pinne, disegnano movimenti morbidi, che ben si fondono con l’andamento curvilineo dello onde sullo sfondo. Ciò nonostante, la figura mantiene una sua autonomia compositiva distaccandosi cromaticamente dal contesto, quasi a voler significare simbolicamente l’autosufficienza e l’autarchia dell’Io della pittrice rispetto al mondo che la circonda: un rapporto antitetico che permea il vissuto di ogni essere umano.
Eppure…eppure il bisogno di autodeterminazione non è totale, ma viene ad essere controbilanciato, in altre opere, da una intima connessione con l’altro. Ne è una prova lampante l'opera “l’Intesa”: questo appare a tutti gli effetti la trasposizione figurativa del celebre mito platonico raccontato da Aristofane nel dialogo “Il Simposio”: gli esseri umani sono perennemente alla ricerca della loro antica unità e della perduta forza, divisi fin dalle origini. Da questa scissione in parti ecco che nasce negli umani il desiderio di ricreare la primitiva unità, tanto che le stesse “parti” non possono far altro che stringersi e fondersi l’una con l’altra.
E non è pura casualità che questa opera si intitoli, per l’appunto “intesa”, intellettiva e sentimentale: l’attrazione mentale è ben più forte di quella fisica; in questo lavoro di Crista ritroviamo quella coesistenza di tutti gli attributi, quella compiuta unità divina e quella perfetta e assoluta unione delle origini tanto agognata dall’Aristofane platonico: una coincidentia oppositorum, per usare un’espressione di Mircea Eliade, che ben raffigura la perfetta unione dei contrari, perché “dunque al desiderio e alla ricerca dell'intero si dà nome amore”.
(Platone, Simposio, 192e-193a)