Massimo Pasqualone

Le sintassi cromatiche di Daniela La Rovere

Il primum movens della ricerca stilistica di Daniela La Rovere è la possibilità di attenzionare emozioni attraverso una precipua sintassi cromatica, con cui l’artista cattura lo sguardo del fruitore della sua opera, mai dimentica che il colore è attrazione, che il colore è sentimento, passione, vitalità, persino gioia e tristezza al contempo, nella consapevolezza, direbbe Haruki Murakami, che “Ogni persona ha un suo proprio colore, una tonalità la cui luce trapela appena appena lungo i contorni del corpo. Una specie di alone. Come nelle figure viste in controluce.”

Daniela La Rovere sembra, infatti far suo questo noto aforisma di Wassily Kandinsky secondo cui “ Il colore è un mezzo per esercitare un influsso diretto sull’Anima. Il colore è il tasto. L’occhio è il martelletto. L’Anima è un pianoforte con molte corde. L’artista è la mano che con questo o quel tasto porta l’anima a vibrare.”

L’artista emoziona e si lascia emozionare, gioca con la capacità di attrazione esercitata da una ricerca personale che si fa linguaggio cromatico, perché, e riecheggia una bella poesiuola di Gianni Rodari

Io so i colori dei mestieri:

sono bianchi i panettieri,

s’alzano prima degli uccelli

e hanno la farina nei capelli;

sono neri gli spazzacamini,

di sette colori son gli imbianchini;

gli operai dell’officina

hanno una bella tuta azzurrina,

hanno le mani sporche di grasso:

i fannulloni vanno a spasso,

non si sporcano nemmeno un dito,

ma il loro mestiere non è pulito.

Posseduta dal colore, Daniela La Rovere vive il tempo della bellezza:” Il colore mi possiede. Non ho bisogno di tentare di afferrarlo. Mi possiede per sempre, lo sento. Questo è il senso dell’ora felice: io e il colore siamo tutt’uno. Sono pittore.”, direbbe l’artista mutuando questa affermazione di Paul Klee.

Bellezza che sovente si fa paesaggio, volto, atmosfera intima, ricerca del sé più profondo, scavo esistenziale di chi vive l’arte come rifugo dagli uragani emozionali del mondo.

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