Dott. Rino Cardone
TRA SCRITTURE IDEOGRAFICHE?
E ?SEGNI LINGUISTICI?.
Mentre un pezzo di mondo naufraga nei suoi valori, nei suoi processi, collettivi, economico - politici e nella sua trasparenza etico - morale, gli artisti, gli intellettuali, i letterati s?interrogano. S?interrogano, come del resto hanno sempre fatto, perlomeno da un secolo e mezzo a questa parte, sui fini ultimi dell?esistenza e del loro presente storico. Un esempio per tutti è quello di Paul Gauguin che nel 1897 si chiedeva: ?Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo??.
Come ci dimostra, però, Dino Ventura (con questa sua mostra personale che nel titolo riprende una frase del premio Nobel per la Pace, Rigoberta Menchú: ?soy culpable? - ?sono colpevole?) è che stando l?attuale contesto, a livello mondiale, caratterizzato da repentini ?processi disgregativi? a livello, ad esempio, di politiche di gestione delle risorse della terra e caratterizzato, anche, da altrettanto improvvisi ?sviluppi aggregativi? a livello di coordinamento delle politiche estere internazionali, alcuni artisti ? come nel caso di Dino Ventura - hanno spostato la loro attenzione dalla necessità di ?interrogarsi in proprio? su cose diverse dalla cronaca, all?esigenza di ?anatomizzare la situazione attuale? puntando il dito sulla cronaca.
Ed ecco allora che nascono delle opere pittoriche, le più insolite e inconsuete, che nel caso specifico di Dino Ventura assumono la parola, quella scritta, posta direttamente sulla tela, congiuntamente al colore, come espressione di una dimensione creativa nella quale - attraverso l?uso delle ?scritture ideografiche? oltre che del ?segno linguistico? - si superano i confini esistenti tra l?arte verbale (la poesia) e l?arte visiva (la pittura). Si tratta di un affascinante ?processo immaginifico? molto simile, per la verità, a quello che fu del Futurismo, teorizzato da Filippo Tommaso Marinetti e ripreso - tanto per fare dei nomi - da Umberto Boccioni, Fortunato Depero e Giacomo Balla.
E come nel caso anche dei parolibero-futuristi che con le loro logiche innovative misero da parte la concezione classica del quadro facendo esplodere, sulla tela, non solo la bella pittura, ma anche le ?parole scritte? (disseminate - sul piano prospettico dell?opera - in forma urlata, appassionata e a tratti irriverente) così Dino Ventura, oggi (attraversando, con forte piglio dinamico e vitalista, la nostra modernità artistica) usa la parola per appoggiare su lucide ?partiture informali? (a tratti ?minimaliste?) i suoi teoremi sulla rispondenza che esiste tra lo stato d?animo dell?individuo e la realtà, confusionaria e contraddittoria, che lo circonda.
E non basta. Quale fosse un novello filosofo pitagorico, Dino Ventura intreccia la parola con il numero, in una ?ricerca ornata? che lo sta portando a raccogliere, in un lasso di tempo che non possiamo definire a priori, una serie d?immagini, di figure e di forme (ma anche di pensieri e di riflessioni) alle quali l?artista sta attribuendo un numero che va dall?1 al 1.000 e che nella fattispecie, di questa mostra, s?inscrivono tra il numero 700 e il numero 725. Anche in questa pratica di Dino Ventura va letto il segno della sua modernità artistica e della sua maniera, per certi aspetti concettuale, di rapportarsi alla vita e al mondo.
In fine, ma non in ultimo, occorre apprezzare la trattazione per veli di colore della pittura di quest?artista, il quale non disdegna l?uso dei materiali per mostrare il senso antroposofico e neo umanista (in senso intellettuale) e neo umanitario e umanitaristico (in senso civile) che muove la sua stessa pittura, pur facendo egli tesoro - come analizzato in questo testo - della lezione estetica di alcuni Movimenti artistici del Novecento, ai quali però, egli, non è inscrivibile (del tutto) in nessuno di essi.
- Rino Cardone -