Luca Canavicchio
Presentazione della mostra "L'altra metà del cielo":
Si avverte nel lavoro di Elisa la necessità profonda di trasmettere un “contenuto”, sia esso un pensiero filosofico, un insegnamento morale, una descrizione della “realtà” (mai intesa come mera riproduzione del suo aspetto visibile) o anche, in una dimensione più intima e personale, un ricordo, un sentimento, un’emozione.
Ecco, dovessi suggerire un approccio alla sua pittura consiglierei di tenere a mente come questa si muova sempre dentro la relazione tra il “cosa” (è espresso) e il “come” (è rappresentato). In un dipinto di Elisa non vi è infatti un singolo elemento (una linea, un colore, un oggetto raffigurato) che non “significhi” qualcosa, che non svolga una funzione di comunicazione di senso.
Vi sono alcuni quadri, penso ad esempio ad Un sole per me, oppure a Forma e sostanza, che nel vero senso della parola “si leggono” dal momento che si configurano come veri e propri codici linguistici ancorché regolati da una grammatica analogica e visuale. Nel Luogo del silenzio (nel quale è ritratta Valentina, figlia maggiore di Elisa) si torna invece alla mimesi (ossia all’imitazione dell’aspetto visibile del reale). Qui il paesaggio vuole essere specchio dell’interiorità della persona ritratta: l’atmosfera ovattata, vagamente malinconica e umbratile suggerita dalla gamma cromatica dominata da fredde tinte glauche, dai bruni e dai neri, è sottilmente animata da una materia pittorica vibrante fatta di pennellate lunghe, filamentose, sciolte e sicure. Confrontando questo ritratto con quello di Beatrice, l’altra figlia, abbiamo un’idea immediata di come Elisa proceda a regolare il proprio linguaggio in base a ciò che intende esprimere: una stesura larga di colori chiarissimi ci restituisce adesso una luce abbagliante dalla quale emerge, con stridente contrasto di tinte complementari, un panneggio in forma di vampe incandescenti.
Ho voluto prendere in considerazione solo i due estremi, quello dell’astrazione e quello della mimesi, ma tra i due poli ritroviamo (nell’intero il corpus delle opere in esposizione) molte altre soluzioni formali tra esse differenti. Possiamo dunque parlare, a riguardo della pittura di Elisa, di una sorta di eclettismo stilistico? A mio parere sì, purché si intenda con questo aggettivo la feconda varietà di percorsi intrapresi da uno spirito di ricerca ricco e vivace.
A mio parere esistono però dei caratteri profondi del fare artistico di Elisa capaci di riportare questa varietà espressiva ad una condizione di unitarietà. Se nessun elemento all’interno di una singola opera è casuale, non lo sono nemmeno la scelta dei dipinti, la loro disposizione e neanche il loro numero (tutto qui significa qualcosa, come abbiamo detto). I rimandi di senso tra un’opera e l’altra formano un organico quadro d’insieme che si configura come un piccolo “sistema di pensiero”, una piccola summa. È una raccolta, quanto più possibile esaustiva, di considerazioni, emozioni, racconti, suggestioni dell’autrice rispetto ad un tema, quello
dell’universo femminile, che viene così affrontato da tutti i punti vista: c’è l’approccio autobiografico ma c’è anche quello biografico (come nel caso di La voce della conchiglia che ci narra il dramma umano e psicologico di Alfonsina Storni); troviamo la dimensione simbolica e arcana del sapere astrologico in 22 maggio 1967 e la visione religiosa delle Virtù teologali. Ecco dunque in cosa può consistere questa unità: l’autrice mette qui a nudo la sua interiorità, o la sua soggettività, fatta tanto di pensiero astratto che di racconto, tanto di razionalità che di emozione. Questo “Io” ci mostra il modo in cui vede l’universo femminile ma così facendo racconta se stesso.
Che ruolo ricoprono invece le copie di quadri famosi (Mucha, Picasso, Klimt, Sano di Pietro, De Lempicka)? Sul piano dei soli contenuti potremmo limitarci a dire che esse rientrano a buon diritto nella mostra in quanto rappresentano il punto di vista di alcuni grandi maestri sull’universo femminile. Ma non credo sia questa una spiegazione sufficiente. La mostra, oltre ad essere uno spaccato dell’interiorità dell’autrice, è anche una indiretta descrizione del suo processo di elaborazione artistica (nel quale certo rientra l’osservazione dei maestri del passato). Il gioco di opposti che troviamo sul piano dei significati (bellezza/vanità, materiale/ideale, femminile/maschile) si riflette in una ricerca pittorica che procede per tesi, antitesi e sintesi. Paradigmatica è in questo senso l’Annunciazione. Sebbene i consueti attributi iconografici siano qui ridotti al minimo (quasi invisibili in verità) già ad un primo colpo d’occhio è evidente quale sia il tema del dipinto. Questo perché in esso è presente una rielaborazione “condensata”, per via di sintesi appunto, di alcune soluzioni compositive adottate nei secoli dai più grandi pittori che abbiano affrontato tale soggetto. In questo dipinto c’è l’impostazione tipica delle annunciazioni tre-quattrocentesche ma anche il turbinio barocco; c’è la figurazione ma anche l’astrazione materica e l’espressività gestuale della pittura informale (a ulteriore riprova che per qualsiasi pittore che sia degno di questo nome categorie quali “astrazione” o “figurazione” hanno un valore assai relativo).
In definitiva cosa troviamo in questa mostra? Una soggettività che racconta e si racconta, un Io che vuole ascendere alla dimensione spirituale, al mondo delle idee, e che sceglie di avvalersi di quelle modalità espressive di volta in volta ritenute più utili nel compiere questo cammino. Forse il miglior modo per intendere la pittura di Elisa è riportarla alle radici stesse dell’arte contemporanea, accostandola cioè all’atteggiamento che già adottavano gli artisti dell’età romantica. <<Chi dice romanticismo [sosteneva Charles Baudelaire] dice arte moderna – cioè intimità, spiritualità, colore, aspirazione verso l’infinito, espressi con tutti i mezzi presenti nelle arti>>.
Luca Canavicchio
Artista e Storico dell’arte