CARMELO MONTAGNA
TESTO CRITICO di Carmelo Montagna, storico dell’arte Sull’arte di Ernesto Graditi Ernst H. Gombrich sosteneva che l’arte di per se non esiste, esistono invece gli artisti. Uomini veri che producono oggetti, elaborano idee in forma di immagini e figure. Linee, forme, colori capaci di fare nascere stati d’animo ed emozioni. La storia dell’arte è perciò la storia delle idee e delle visioni del mondo attraverso il racconto che ce ne fanno questi particolari oggetti. Essi acquistano autonoma esistenza dopo la fase della elaborazione e produzione artistica e, come “capolavori” o semplici testimoni del tempo di cultura, sopravvivono ai loro creatori, continuando a produrre narrazioni, emozioni, ammirazione o semplice indifferenza, contribuendo anche a determinare la qualità dei contesti fisici di cui sono parte o a cui danno vita. Sono “materiali” speciali saturi di immaterialità, composti da una parte “che si vede” ed un’altra che si percepisce appena, o addirittura “non si vede”, oppure paradossalmente “la si vede chiudendo gli occhi” per aprirsi a dimensioni simboliche, di iconografia sociologica e/o spirituale. E’ questa, più propriamente, la via della percezione estetica, che determina sensazioni forti attraverso i sensi umani; che, a cavallo fra il visibile e l’invisibile, costruisce la distinzione fra il “bene culturale” e l’autentica “opera d’arte”. L’opera d’arte diventa tale quando, fra i suoi materiali componenti, prevale la dimensione spirituale e simbolica su quella materiale, percettiva e documentaria. Fra le caratteristiche distintive dell’opera d’arte ci sembra che siano meritevoli di essere ricordate quelle riassunte da W. Tatarkiewicz, in “Storia di sei Idee”: – che producono bellezza; – che riproducono aspetti della realtà; -che danno forma alle cose; – che danno espressione; – che elaborano e restituiscono creatività. Era necessario per la comprensione dell’Arte riannodare questi fili maestri, per introdurre qualche nota a commento dell’opera di Ernesto Graditi, che in queste categorie-costanti della perennità della creatività artistica può, a pieno titolo, essere compreso. La sua opera pittorica, che ha molti maestri ma che è essenzialmente autodidatta, si delinea con caratteri di forte personalità grafica ed acuta resa cromatica, in possesso delle certezze antiche del mestiere. Questi caratteri risaltano evidenti al paragone della banalità-performance di tanta arte concettuale contemporanea. Ritorna con costanza nella sua ricerca la figura umana e l’immagine dell’Uomo-Eroe, del Combattente e del Cavaliere Antico in rivolta, spesso proprio contro il proprio tempo, le ipocrisie ed i falsi valori. E’ un tempo, il nostro, che è stato capace perfino di produrre opere “accademiche” in nome della trasgressione a programma, di una totalitaria “nuova regola”: “non ci sono più regole” oppure “ognuno se le fa da sé”; che ci sta lasciando immagini e forma confuse, che pure parlano di tutti noi, di cose profondamente irreali, paradossali, visioni paranoiche, corrosive, gratuitamente brutte, volgari, violente, dissacranti, blasfeme, che hanno al centro il Caos. Istintivamente in Ernesto Graditi è presente la sofferta rielaborazione figurativa delle profondità misteriose ed arcane toccate dai maestri dell’Avanguardia, specie nelle sue letture di inquietante Surrealismo. Prevale però la volontà artistica del riscatto della forma umana, punto critico di ri-partenza dopo la stasi; da ri-comporre eroicamente dopo le lacerazioni; da tornare a dotare di senso per il suo destino, dopo le frantumazioni; da re-inserire nel paesaggio della storia umana, dopo l’assurdità dell’essere “gettato” in orizzonti post-umani, gelidi e larvali, di nichilismo compiuto in nome della presunta “morte di Dio”. Il tratto che caratterizza l’opera figurativa di Ernesto Graditi può riassumersi brevemente nel tentativo, in corso di realizzazione in questa fase della sua maturità, di ritornare a fare disegno e pittura come li potevano pensare i maestri antichi: difficile tecnicamente da realizzare e facile da capire, per il racconto di storia o di idee; al contrario di tanta pseudo-arte contemporanea, facile da fare quando non ridotta a pura elucubrazione mentale, e difficile da capire, nei pochi casi illuminati e significativi. In questo Graditi si fa artista di “resistenza” rispetto alla linea portante dell’arte del ‘900, che ha rinunciato a parlare della verità e del significato, in preda a iconoclastica furia distruttrice di valori e certezze. Ci sembra che già questo, da solo, valga ad Ernesto Graditi, ed a quanti come lui seguono la difficile via del doloroso “ritorna al reale”, il merito per inserirlo fra i protagonisti contemporanei dell’arte nel suo significato di tradizione, che comporta elaborazione di idee, visione e lotta interiore, capacità di sperimentazione e innovazione, mestiere, non semplicemente finalizzati a generica “creatività” concettuale di assemblaggi per compiacenti mercanti d’arte, ma essenzialmente al prodotto-opera d’arte. Tutto ciò nel panorama triste della nostra epoca, caratterizzata dal tratto nichilistico della sua riduzione a semplice oggetto “esteticamente interessante” o all’estremistica posizione di teorie e prassi sull’arte che enunciano il Nulla relativistico, dell’assenza della stessa opera d’arte. Nei cicli pittorici di Ernesto Graditi si percepisce un “segreto esposto in evidenza”, per dirla con E. Zolla: che attraverso lo sguardo sull’opera d’arte la possibilità d’accesso alla conoscenza, di per sé elitaria, è invece aperta a tutti. Poiché il saper vedere è l’inizio di ogni conoscenza questo è di estrema importanza per la comprensione della sicilianità colta di Ernesto Graditi, intimamente legato al suo ancestrale “Normannesimo”, che diventa mito fondante della sua quotidianità d’artista, con radici antiche. Fra le difficoltà radicali che dobbiamo affrontare per la comprensione delle crisi del nostro tempo, una delle più devastanti è proprio quella dell’approccio corretto e critico alle quantità impressionanti di immagini che ci vengono somministrate dalla società. Eppure ci rendiamo immediatamente conto che ciò che ci arriva molto spesso è di qualità scadente, vero inno al degrado estetico. Viene da pensare a quanto sosteneva C.S. Lewis; cioè che l’artista è una finestra sul mondo, che deve permetterci di affacciarci per capire: se, quando ci affacciamo, non vediamo il mondo ma solo la finestra, o addirittura vediamo il Nulla, questo significa che essa è stata mal costruita o che la visione serve strumentalmente per disorientarci nel caos di orizzonti senza senso. L’operare artistico di Ernesto Graditi si situa significativamente al bivio di questa scelta radicale: che è inaccettabile la difesa che spesso si sente fare dell’arte moderna, che essa cioè sarebbe veritiera proprio perché esprime il caos dell’epoca; accettando così la falsa posizione-tesi che l’arte deve sempre essere solo espressione del proprio tempo. La presa di posizione di Ernesto Graditi ci sembra che sia riassumibile in questi pensieri magistrali di H. Sedlmayr, in “Perdita del Centro”: “L’arte è “espressione del tempo” solo da un punto di vista accessorio ed essenzialmente fuori del tempo: è “epifania” di tutto quanto è indipendente dal tempo, di ciò che è esterno nel riflesso del tempo. La negazione di questo carattere di eternità è, essenzialmente, anche negazione dell’arte. Ed è anche vero che “il talento mediocre è sempre prigioniero del tempo e si deve nutrire di quegli elementi in esso esistenti” (Goethe). La produzione del vero artista non proviene dal tempo; essa fonda la prigione della temporaneità per divenire creazione. E’ certo però che, per creare il nuovo, anch’essa deve servirsi degli elementi temporali. Questo ragionamento, applicato alla nostra epoca, significa che l’artista si trova davanti al compito di “mostrare con immagini del turbato ordine naturale il mai turbato ordine soprannaturale” (J. Schoning). Perciò la grandezza dell’artista “non si misura secondo i bei sentimenti che esso suscita, bensì [e Nietzsche, in teoria, lo sapeva] secondo la sicurezza con la quale il caos obbedisce ai suoi comandi”. E questi comandi l’artista riceve non da un “io” autonomo, ma “dall’alto”; e quando non li riceve dall’alto li riceve appunto dal basso…” Il ciclo pittorico su “Morte e Resurrezione”, a cui Ernesto Graditi sta lavorando, è una buona sintesi di narrazione visiva ed approfondimento artistico su questa tematica epocale.