Eugenio Santoro, gallerista e titolare di MuseOrfeo/HomaGallery a Bologna
Testo critico di Eugenio Santoro, gallerista e titolare di MuseOrfeo e del progetto nazionale HomeGallery a Bologna
L’archivio della memoria di Federica Martini è costruito con i materiali di un dolore e di un sentimento per la sua terra che sfidano il tempo. Classici perché intensi e assoluti, ma mai passati, mai museificati o invecchiati, bensì sempre intatti e reali. La carta su cui lavora, è insieme strumento di lavoro e scudo con cui proteggersi dalla ripetitiva e insopportabile flagranza della banalità, ma anche manifesto e medium elettivo per un richiamo preciso e specifico a cui Federica non ha mai voluto rinunciare. Ha infatti portato sul campo il proprio impegno, spesso ha ripescato il proprio ricco repertorio per ripensarlo ed esorcizzarlo in un ininterrotto discorso sulla bellezza e la rinascita, sull’inquetudine e la necessità di fare. Protagonista è l’inquietudine di una donna, di un uomo, degli attori, che dà volto al sentimento dell’autrice.
Più che dei modelli direi che sono un riflesso del nostro tempo. Le celebrities sono in grado di creare isteria, curiosità morbosa e desiderio di emulazione anche nelle persone apparentemente più intellettualmente sicure di sé. L’opulenza pittorica della Martini, dei colori che usa, consiste nella capacità di investire nella perdita iniziale, nella condizione notturna del quotidiano, il rischio della pratica solare dell’arte. Finalmente la pratica artistica/pittorica viene assunta come un movimento affermativo, come un gesto non più di difesa ma di penetrazione attiva, diurna e fluidificante. L’assunto iniziale è quello di un’arte come produzione di catastrofe, di una discontinuità che rompe gli equilibri tettonici del linguaggio a favore di una precipitazione nella materia dell’immaginario non come ritorno nostalgico, come riflusso, ma come flusso che trascina dentro di sé la sedimentazione di molte cose, che scavalcano il semplice ritorno al privato e al simbolico.
Federica ha sempre operato dentro gli schemi culturali di una tradizione idealistica tendente a configurare lo sviluppo dell’arte come una linea continua, progressiva e rettilinea. L’ideologia sottostante a tale mentalità è quella del darwinismo linguistico, di un’idea evoluzionistica dell’arte, che afferma una tradizione dello sviluppo linguistico dagli antenati dell’avanguardia storica fino agli esiti ultimi della ricerca artistica. L’idealismo di tale posizione risiede nella considerazione dell’arte e del suo sviluppo al di fuori dei colpi e dei contraccolpi della Storia, come se la produzione artistica vivesse avulsa dalla produzione più generale della Storia. Il Futuro del FUTURO!
L’opera della Martini diventa il microcosmo che accoglie e fonda la capacità opulenta dell’arte di permettere il rimpossessamento, di tornare a essere possidenti di una soggettività fluida fino al punto di entrare anche nelle pieghe del privato, che in ogni caso fonda sulla propria pulsione e non su altro il valore e la motivazione del proprio operare. L’ideologismo del poverismo e la tautologia dell’arte concettuale trovano un superamento in un nuovo atteggiamento che non predica alcun primato se non quello dell’arte e della flagranza dell’opera che ritrova il piacere della propria esibizione, del proprio spessore, della materia della pittura finalmente non più mortificata da incombenze ideologiche e da arrovellamenti puramente intellettuali.
Portaci con te, Federica!
Eugenio Santoro