Gastone Ranieri Indoni

IN RICORDO DI FULVIO MASCIANGIOLI

Pur vivendo ormai in un mondo dove il tratto del sentimento è sempre meno marcato, pensare di salutare in modo professionale e umano un personaggio come il professor Fulvio Masciangioli, irripetibile attore di un’irripetibile stagione artistica può diventare una sorta di puerile e risibile decisione.  

Corro volentieri il rischio di essere considerato il pusillanime di turno ma rispetto, stima, presenza artistica e sopratutto il reciproco riconoscimento di un’amicizia sincera me lo impongono ed offrono al contempo lo spunto di additare con piacere un artista dalla cristallina coerenza intercorsa tra il suo insegnamento, il suo lavoro ed il suo proporsi d’insieme

Lo ricordo come professionista in fuga dal contatto di una scuola ormai di matrice degenerativa, come uomo fedele ai principi artistici votati all’insegna del nuovo e del bello, che non rimanevano mai confinati all’esterno ma che colmavano l’aspettativa degli studenti e che arrivavano a coprire con abbondanza di intenti l’intera amata famiglia.

Ricordo i nostri incontri, dentro e fuori il suo studio, sempre più imperlati di rimandi e richiami a una cultura finita in una spirale di decadenza che ci obbligava a scambi di battute, burle e beffe nei confronti di un’ignoranza galoppante che ci trovava puntualmente d’accordo nell’infierire sulla sua ridicola deprecata inutilità: senza dimenticare il grande apprezzamento della rivista di cui era fan.

Ricordo con struggente nostalgia le lunghe allocuzioni e interlocuzioni in tema di pittura, di stili, stilemi, ricerca, restauro, accostamenti ad autori classici e no dove ci coglieva cosi spesso la piacevole sorpresa di scoprirci in sintonia, il piacere di collimare interessi, la certezza di condividere la stessa bellezza la stessa cultura.

Ricordo con giustificata commozione come accolse il profilo critico che elaborai in occasione della mostra antologica che organizzai per e con lui, come apprezzò il mio lavoro e l’elaborazione del relativo catalogo e quanto, al di là delle reciproche specializzazioni, ci accomunava nel campo della pittura per sconfinare ogni volta nell’incanto dell’arte in generale.

Ricordo la tenerezza con cui presentava le sue creature spiegandone l’origine, usando una sorta di maieutica socratiana per intuire se l’interlocutore avesse colto la metafora inserita nel suo racconto pittorico e la sincera moina di felicità nel constatare l’afflato artistico che ci avvicinava, consacrando già da allora quei momenti in spaccati di imperitura memoria.

Ricordo le sue visite periodiche in ufficio e la condivisione di quei caffè presi ai bordi del parco dove, volando di fantasia, e soli con noi stessi e la nostra momentanea follia, eravamo a piedi nudi nell’arte per cogliere momenti irripetibili mentre intrisi di rugiada e di colore attraversavamo gli studi di Veermer, di Rubens e di Monet e le sale d’incisione di un incombente quanto imponente Wagner, sognando per entrambi momenti condivisibili di gloria già scontati come irraggiungibili.

Addio professore, anzi arrivederci. Riprenderemo da quelle piccole dosi di felicità virtuale prima o poi, sono sicuro al punto di intravedere già il suo sorriso beffardo e pieno di spavalda complicità.

                                                                              Gastone Ranieri Indoni

Pubblicato sulla rivista internazionale “URBIS ET ARTIS” bimestrale di arte cultura e attualità del novembre/dicembre 2015

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