LUCIA DI CINTIO

Prefazione per un Maestro

Gaetano Minale è quello che si definisce un talento naturale, nel senso che appartiene ad una ristretta

categoria di persone che posseggono in sé stesse un senso artistico che le spinge in modo, quasi

inconscio, verso l’arte applicata. Ed è così che il nostro Maestro ha mosso i primi passi di artista, da

solo, per una sorta di istinto che lo guidava, ritraendo quanto lo circondava. Provando e riprovando,

come scriveva Dante, Gaetano Minale realizzò che la sua tecnica pittorica avrebbe potuto ispirarsi,

perché simile, a quella di Vincent Van Gogh per i colori, la luce e a quella di Guttuso per i volumi e

la prospettiva delle figure umane. I due geni divennero, pertanto, i suoi maestri ideali.

Gli anni immediatamente successivi alla maturità, portarono Gaetano Minale a dover sospendere la

sua attività pittorica, ma la riflessione artistica era sempre presente nel giovane uomo; così, verso i

suoi trent’anni, quando la vita gli consentì di tornare a disegnare e a dipingere, aveva assorbito

ulteriori suggestioni che trasferì nelle sue realizzazioni più mature. In seguito, negli anni anni ’70, la

sua inclinazione ha potuto trovare anche una solida formazione tecnica, grazie ad un altro artista

atessano, ossia Gennaro Bravo, Maestro restauratore, decoratore e pittore.

Attraverso la minuziosa osservazione delle opere dei suoi maestri, Minale è riuscito a trovare un

equilibrio tra colore e forma, in una chiave di lettura tutta sua, ma che nasce dalla conoscenza. Le

figure umane, i panorami assumono, nelle sue opere, un senso spirituale che evoca qualcosa che è in

noi, ma allo stesso tempo, lontano, in fondo all’anima.

Ed è questa, si dice, l’essenza delle opere d’arte, e delle sue tele più di tutte, ossia proprio quel loro

potere evocativo, quella capacità di suscitare un’emozione, una riflessione che vada oltre la

percezione visiva, attraverso un impiego così sapiente della tecnica pittorica e prospettica, da

risultare semplice e democratica, perché percepibile da tutti.

Nelle tele del Maestro, colore e tecnica si fondono in una poetica circolare. Il nostro è capace di

usare diverse prospettive in una stessa tela, spesso esasperando i primi piani, quasi inaspettati; così,

d’improvviso, ci si trova vicino ad un frutto, un fiore dai colori vivissimi, che divengono asse tutto il

piano visivo, un punto focale del resto del mondo che vi gira attorno.

L’abilità tecnica si evidenzia quando ci si accorge che la prospettiva, spesso, è data soltanto dalle

pennellate: il colore dà luce, ma, allo stesso tempo, conferisce forma alle figure.

Oltre alla pittura, Minale è dedito al disegno, noti sono i suoi scorci di Atessa a china, opere raccolte

in un catalogo, Atessa in bianco e nero e a colori. Il tratto del disegno è fluido, al contempo preciso

si arricchisce quando la china viene riempita dal colore, allora il paesaggio prende vita, si anima di

luce, quasi a far nascere il desiderio di poter entrare dentro quel mondo sospeso nel tempo.

Certo, rivive un po’ di Van Gogh nelle pennellate dense e grumose di questo pittore. Il colore plasma

la materia, esprime una vitalità dirompente e un senso di nostalgia. Ma, mi si permetta, nei quadri di

Gaetano Minale, mancano quelle sfumature fredde, quei viola quei neri, quel senso di solitudine dei

paesaggi del genio olandese; prevalgono, invece, i gialli chiari, i rosa del cielo, i celeste del mare e

del cielo: è la gioia di vivere che si imprime per sempre in un’opera, quella di Gaetano Minale.

Lucia di Cintio