Critico d'Arte Andrea Domenico Taricco
Gianolio. Figlio della mia generazione è un individuo riflessivo che ha scoperto il mondo a proprie spese: dopo una mia intervista su Il Periodico d’Arte ho avuto modo di conoscere la persona dietro l’artista ed ho inteso le esperienze che hanno formato il suo carattere attraversando periodi bui e di ricerca interiore. Eppure tutto ciò non lo ha mai scoraggiato sino al suo approdo all’arte ed alla creazione del suo stile denominato Black&WhiteArt spaziando dalla china iniziale sino alla tecnica ad olio su tavola assistiamo al racconto di personaggi, di nature morte o dettagli estratti dal quotidiano ed inseriti in un contesto più intimo.
Questa dicotomia del bianco e del nero e di particolari rievocano il presente facendolo risucchiare da un senso temporale di vissuto, antico spingendo l’osservatore a ritrovare il fascino per la fotografia oppure verso qualcosa che sia stato fissato ma che inesorabilmente sarà rimosso. A metà strada tra l’immediatezza del fotogiornalismo descrittivo e l’estrapolazione dell’attimo attinto dal fotogramma cinematografico separa il divenire in frammenti estatici di un discorso più ampio servendosi del simbolo. In questo modo dà senso al valore narrativo a metà strada tra l’emotività e la via mnemonica: torniamo così ai concetti che descrivono l’era di Internet in cui la società distratta vuole tutto e subito rimanendo comodamente seduta in poltrona, in cui l’automazione ha preso il posto del lavoro, in cui si fa la pace con la guerra e dove i rapporti sociali sono controllati dall’abuso telematico.
Il primo trentennio della Rinascenza partito dallo sbarco dell’uomo sulla Luna sino al crollo delle Torri Gemelle ha definito un cambio di paradigma allontanando sempre più le masse dal senso critico, dai sentimenti, dal qui ed ora sino agli scenari attuali dell’ultimo ventennio in cui è stato avviato un processo dissolutivo graduale denominato Deglobalizzazione: dapprima il Covid-19 poi la seconda Guerra Fredda hanno dato il colpo definitivo frenando quella moda ottimistica che rasserenava gli animi. L’era digitale è dominata dall’allarmismo sanitario, dal richiamo alla guerra e dalle spinte ideologiche del cambiamento climatico: è qui che artisticamente le spinte dell’Individualesimo, dello Smaterialismo così come del Mutazionismo hanno trovato compimento traslando la narrazione dall’emotività al mnemonico sino al ritrovato desiderio di evadere nell’altrove.
Ed ecco come siamo tornati al punto di partenza ovvero a quel sorpassato contrasto tra le spinte extra-artistiche vecchie di cinquant’anni che rinnegavano tutto ciò che rinviava direttamente alle tecniche artistiche tradizionali in nome del valore intrinseco delle idee. Pensiamo alla Minimal Art, all’Arte Concettuale, alla Land Art sino all’Arte Povera od alla Body Art con la differenza che nell’oscurantismo post-rinascente in corso la narrazione così come l’anti-narrazione non siano altro che le due facce della stessa medaglia governate dal mercato imperante.
In questo senso l’artista deve mostrare la propria intellettualità servendosi del proprio nozionismo creativo eclissando nel revisionismo, nell’eclettismo becero ed in un passatismo al limite del parossismo destrutturante.
L’opera diviene prodotto alla stregua del like digitale in cui conta solo avere visibilità, vendere come merce, diventare famosi prendendo spunto dalle star massificate. La moda è il metro di questo regresso antiestetico attuato dall’iper-informazione telematica in cui stanno prendendo forma realtà parallele o meta-realtà virtuali in cui è l’intelligenza artificiale a fare da padrona: avremo algoritmi capaci di dipingere ed altri capaci di analizzare e vendere da un capo all’altro del globo prodotti inconsistenti, raggiunti dal mero calcolo o dal para-ragionamento che in questo ultimo decennio ha assorbito dati sensibili osservando le nostre reazioni ed il nostro comportamento. L’intelligenza artificiale rappresenta l’ultima frontiera di questo percorso. Può una macchina generare emozioni? Sicuramente ma si tratta di emozioni vuote perché non condivise da uno stato profondo. Ad oggi una macchina non ha coscienza ma una consapevolezza vuota, insensibile, priva di anima. La realtà virtuale in cui siamo caduti genererà esseri incoscienti, privi di memoria e di interiorità psichica precipitando in un processo graduale di de-umanizzazione.
In questo senso prende forza la Psicopittura di Marco Giovanni Gianolio. Con lui la pittura ritorna ad essere pittura: torniamo cioè all’idea del vecchio pittore ante litteram che si chiude nel suo studio con i colori ed i pennelli, con il supporto e con idee di frammenti di realtà che ha vissuto nella sua esperienza privata determinandogli sensazioni, emozioni contrastanti sino a scindersi nella mente e traslarsi in flusso creativo.. Il precisionismo esecutivo di dettagli, la perizia con la quale torna sui frammenti di qualcosa apparentemente trascurabile eppure decisivo.