La copia deI bello ovvero il bello della copia


Le false opere d’arte e le copie di quadri famosi coesistono da sempre con la produzione degli oggetti originali.

Sono mondi interdipendenti, di cui spesso si possono riconoscere nettamente i confini, mentre altre volte questi confini appaiono molto labili se non addirittura inesistenti.

Ma che differenza c’è quando si parla di copia o di falso?

Il falso si distingue dalla copia non per le qualità intrinseche dell’opera, ma per l’intento di dolo. In passato le repliche di un capolavoro erano eseguite dallo stesso autore, si pensi alla Gioconda, di cui ne esistono tre copie e le copie realizzate da altri artisti erano commissionate pur sapendo della loro non-originalità.

L’oggetto doveva essenzialmente essere aderente alle caratteristiche del modello, e veniva venduto e acquistato come copia, con un valore ben diverso dall’originale.

L’inglese Eric Hebborn celebre falsario distingueva tra «falso decorativo», cioè eseguito con diligenza ma con lo spirito di emulare soltanto un’opera antica, senza alcuna pretesa ulteriore, e «falso perfetto», quello che l’autore vuole sia confuso con un originale.

I metodi per riconoscere i falsi si sono col tempo evoluti: si va da tecniche fotografiche particolari, analisi radiografiche, studio dei materiali dei supporti per datare le opere d’arte.

Queste tecniche pur nella loro validità non possono certo validare l’originalità di un’opera.

La celebre beffa di Modigliani, consumatasi nell’estate del 1984 ne è una prova.

Nel centenario della nascita di Modì, il Comune di Livorno inizia a dragare il Fosso Reale, dove durante uno dei suoi ultimi soggiorni in città un Amedeo Modigliani insoddisfatto avrebbe gettato nel canale alcune statue.

Dopo alcuni giorni viene annunciato con squilli di tromba e rullo di tamburi il ritrovamento di tre pietre scolpite. Tutta la critica si mobilita accreditando la scoperta, di cui Vera Durbé, direttrice del museo progressivo di Arte Moderna di Livorno, si attribuisce il merito.

La storia poi è nota. A settembre, appena stampata una nuova monografia di Modigliani che include le tre opere appena rinvenute, i falsari si autodenunciano.

La maschera chiamata “Modì 2” è stata realizzata da tre studenti universitari che, nella pausa estiva dalle lezioni, hanno scolpito con il trapano una maschera grezza e rozza, secondo loro “in stile Modì”.

Le altre due teste, chiamate “Modì 1” e “Modì 3”, sono invece opera di Angelo Froglia, un ex-portuale divenuto pittore e scultore apprezzato a livello locale, che per dar prova della sua autografia aveva girato anche un videotape, volendo denunciare con questo gesto l’arroganza della critica, la società consumistica e i suoi falsi idoli.

Quella di Livorno, quindi, è una doppia beffa, poiché in modo indipendente, gli universitari e Froglia, falsari improvvisati, decisero di compiere un’operazione che ha messo in luce tutte le falle del sistema dell’arte.

L’arte contemporanea, spesso viene riconosciuta autentica dai critici solo ed esclusivamente in funzione di una ben calcolata mercificazione e speculazione, in un mercato inflazionato da aste, dove non importa il talento ed il virtuosismo necessario a chi faceva copia delle opere del passato.  

Stilando una classifica dei falsi famosi i più richiesti oltre ai classici Leonardo, Michelangelo sono gli impressionisti e postimpressionisti, da Monet, a Degas, a Van Gogh, a Renoir, a Gauguin e Cezanne, seguiti da Modigliani, da paesaggisti italiani, nature morte fiamminghe e spagnole «perfette per le case in campagna, per le sale da pranzo».

Personalmente alterno “falsi decorativi” originali cercando atmosfere d’epoca o riconducibili ad alcuni maestri con “falsi perfetti” dove mi immergo nell’opera da riprodurre.

Prima di prendere pennello e colori ed eseguire una copia studio l’originale, mi affascina conoscere l’artista e la storia dell’opera: il periodo in cui è stato realizzato il dipinto, il luogo che ha ispirato l’artista ed il perché ha voluto realizzare l’opera. Faccio sempre riproduzioni di grandezza eguale all’originale, perché per me non ha senso una Gioconda cm. 30x40. 

Uso supporti per lo più lignei più congeniali alla mia pennellata, non preoccupandomi su che cosa è stato eseguito l’originale, ed uso colori da banco, senza ricercare colori di particolare pregio.

Non mi interessa fare un falso, ma una copia più vicina possibile all’originale.

Come artista, è per me importante il risultato finale, il godimento degli occhi, l’atmosfera ricreata, il particolare ben eseguito, la soddisfazione di stare di fronte ad una copia che è opera d’arte.