Marzia Marino storica dell'arte
- Stilizzata solennità,memore di armonie compositive antichissime e di ritmi sincopati più moderni.L'arte preclassica del Mediterraneo, la potente ferrosità dei bronzetti nuragici, la scomposizione cubista del genio di Picasso sembrano convivere in perfetta armonia, sotto il segno inconfondibile della pittura di Giovanni Antonio Medda in arte Megian.
- L'artista nato a Nuoro nel 1964, sostanzialmente autodidatta, ha frequentato il Liceo Artistico Statale di Cagliari ed ha vissuto tra Roma e la Sardegna , dove oggi lavora indefessamente , spinto da una passione profonda e radicata per il disegno, la pittura e la sua terra natale,pressato da un imperativo e da un bisogno che assorbe tutta la sua esistenza.Un irrequietezza intima di temperamento emerge certo dall'uso dei colori che l'artista recupera dall'humus della sua terra , tinte calde vibranti,capaci di illuminare tutta la materia del dipinto, e da quella esuberanza scomposta che spesso imprigiona nell'apparente immobilità della impostazione organica, i suoi cavalli simbolo di protesta e di ribellione.
- Un forte attaccamento alle sue origini, una "sardità" quella che traspare dalle ricerche di Megian che non è certo folklore.E' la consapevolezza di essere membro di una civiltà antica,un profondo senso di appartenenza che neanche la distanza può cancellare.
- Basterebbe soffermarsi su opere come Donna guerriero,Bronzetto nuragico,o Capo Villaggio. Rapide forme antropomorfe,piccoli o grandi totem,figure bardate come i bronzi nuragici,ma che degli originali hanno perso la primitiva durezza. L'evidente omaggio all'incommensurabile patrimonio archeologico dell'isola,viene svolto da Megian con una notevole libertà interpretativa che molto ha in comune con i Guerrieri di Giovanni Nonnis e con l'opera di chi prima di lui,mi riferisco a Paul Klee , ha trattato la figura umana con una ironia surreale e con costanti riferimenti all'universo infantile
- Un sentimento identitario che si coglie chiaramente nel ciclo intitolato Terre Mie , in cui l'artista dispone quasi su un palcoscenico ,uomini ed animali,che accostati,allacciati o sovrapposti,accennano ad un fluido discorso narrativo.Nudi femminili come madri mediterranee,cavalcano impavide,indomiti destrieri o solcano il mare su legni vetusti.Uomini armati di scudo o di berrita, sembrano rivendicare il proprio ruolo di Pater Familias.In queste composizioni elementi circolari accennano alla presenza di villaggi nuragici visti dall'alto,mentre le sequenze planari si susseguono,scivolano l'una sull'altra e manifestano la loro origine anticlassica e autoctona.
- Storia natura si fondono nello spazio indefinito e senza tempo , in un legame profondo che avvolge di smisurate solitudini l'uomo , gli animali e gli oggetti.Allo stesso modo nelle recenti nature morte nelle quali Megian realizza compiutamente il recupero dei moduli pittorici del cubismo sintetico e dove nella generale sintesi delle forme ,gli strumenti musicali si compongono , anche grazie all'inserimento di elementi presi dal reale di una miriade di dettagli che conferiscono al dipinto un aura quasi barocca.
- Arriviamo così a Is Zappulus da bistiri ,l'opera donata da Megian al Museo di Atzara .L'artista sembra qui guidato da una tendenza astratta e razionale che mira a concettualizzare la percezione, a schematizzare e a strutturare l'immagine per mezzo di un gioco di linnee che corrono parallele o si incrociano e si incontrano in varie angolazioni, in geometrismi puri e multipli entro cui il colore ,olio e smalto,si distende in zone piatte. I fili,materia pittorica o tessuto,percorrono l'opera; sono lo strumento attraverso il quale le toppe possono essere ricucite, sono la memoria che fluisce,la visualizzazione di tensioni di sentimenti ed emozioni.Coscienza estetica ed etica .Povertà,fame ,miseria e subalternità culturale,quella dei Sardi.Ma anche ricchezza ,l'oro e l'argento tessuti tra i colorisplendenti delle trame degli abiti,immagine ancestrale di quella bellezza ed eleganza che proprio ad Atzara ,all'inizio del secolo scorso,catturò l'attenzione e valse l'ammirazione del pittore spagnolo Antonio Ortiz Echagùe al quale il museo è intitolato