Dott. Rino Cardone
Le opere del poliedrico artista potentino Gianni Scioscia che, in occasione di questo evento, festeggia quarantacinque anni di intensa ed ininterrotta attività artistica; una lunga carriera nel corso della quale, pur mantenendo intatta la propria poetica, si è saputo rinnovare tecnicamente grazie ad una ricerca continua su materiali e colori. (tratto dalla critica pubblicata in data 06/04/20149 )
È stato detto ed è stato anche scritto che l’artista viaggia su “frequenze intellettuali” che sono diverse dalla massa. E che possiede una “percettibilità delle cose” differente rispetto all’individuo comune. È proprio così. L’artista è una sorta di “diapason della storia” che con i suoi lavori attraversa il mondo, allineando le esperienze altrui alle sue “frequenze interiori”. E che, nello stesso tempo, emette e riceve delle “vibrazioni spirituali”: sia dall’”universo metafisico” e sia dalla “dimensione metempirica” che corrono paralleli alla realtà fisica del mondo, circoscritta dalla natura. Egli occupa il tempo e percorre lo spazio come un nomade, come un eterno viaggiatore. L’artista, insomma, è colui che spazia, attraverso la sua fantasia e la sua creatività, nei territori effimeri e puri della seduzione e della fascinazione (ambedue intesi come beni immateriali, dell’universale fantastico) come conferma, del resto, l’espressività, un tantino “trasognata” e “sognante”, e a tratti, addirittura, “svagata” e “transeunte” (nel senso delle interpretazioni che sono date alle “dinamiche percettive” del paesaggio) della pittura di Giovanni Scioscia.
Nei suoi dipinti si percepisce un’aura di candido sbalordimento nei confronti della dimensione del sogno, ma anche di sottile ammaliamento della realtà (come quella che proviene dalla fiaba, dalla favola, dal mito, dalla leggenda e dalla tradizione fantastica trasmessa per via orale) e di sorpresa, stupore, incanto e meraviglia nei confronti della “molteplicità semantica” che è offerta dal linguaggio artistico tout court. Queste sono le stesse condizioni che “presero dentro” peraltro scrittori come Jules Verne e come Emilio Salgari, i quali fecero del loro “immaginario espressivo/individuale” il naturale prolungamento dei propri desideri e delle proprie intime passioni.
E fu così che - con la fantasia - viaggiarono, viaggiarono, viaggiarono; talvolta in luoghi mai raggiunti fisicamente; talaltra in spazi dei quali avevano contezza per sentito dire, intendendo il viaggio come un’esperienza che si può compiere anche solo con l’immaginazione e l’ingegno, senza spostarsi da una latitudine all’altra del globo terrestre. Viaggio, dunque, inteso come una “metafora subliminale” della vita (che interiorizzi senza accorgertene) e come una “allegoria del sogno” traslata - in questo secondo caso - nella realtà. In questa maniera il viaggio, la dimensione itinerante, si trasformano - come accade nella pittura di Giovanni Scioscia – in una sorta di “esperienza circolare” che parte o da un’idea, o da una lettura, o da una sollecitazione verbale, o da uno stimolo visivo, per proiettarsi, poi, in maniera fantastica e creativa - in un secondo tempo - o su un foglio di carta, o su una tela, o su una sequenza filmata, o su una sequela di scatti fotografici, che rimandano, a loro volta, all’incipit di tutto e cioè al punto di partenza, che ha generato la “pulsione creativa” di quella medesima “realizzazione immaginativa”.
Giovanni Scioscia si muove, insomma, attraverso la sua pittura, in quei luoghi della bellezza e persino, anche, dei valori morali (che appartengono alla “Kalokagathia” della cultura greca antica) con deciso piglio onirico, a tratti ludico e costantemente fantastico. La sua ricerca pittorica è scandita da forme e da figure che appartengono alla natura delle “rievocazioni nostalgiche” della memoria e ai “flashback neutrali” della mente: che sono generati - a loro volta - dalla “funzione mnemonica” dell’intelletto. Ne deriva una sorta di “flusso visuale” e di “scorrimento narrativo” nel quale immagine dopo immagine, si costruisce una “impalcatura lirica” e una “intelaiatura elegiaca” che svincola la mente, dal contesto della realtà. Riuscendo in questa maniera a far sognare lo spettatore, così come riesce a far sognare ogni richiamo, ogni riferimento e ogni citazione della realtà: come nel caso di un “quadro dentro il quadro” (dicasi meta pittura) e come nel caso di una “striscia filmica” che in un tempo – non molto lontano da noi – era impressa nei “chiaroscuri luminosi” della pellicola di celluloide.
Ed ecco allora che i quadri di Giovanni Scioscia “vivono”, si sviluppano e “palpitano” di una serie di “sequenze fantastiche”: intese non come una catena di “immagini replicate” ma come una progressione di forme, di segni, di colori e di figure, la cui “gerarchizzazione semantica” s’inscrive nelle diverse sfere del grande “universo immaginativo” e fantastico. E che sono riconducibili, a loro volta, con le dimensioni dell’intimistico, dell’indefinito, del crepuscolare e dell’onirico, del linguaggio più generale dell’arte.