Rosario Sprovieri
Dinanzi alle opere di Giuseppe Diara, al primo impatto,
esternando le emozioni del cuore, se così si può dire, ho provato
un gran senso d'intima solitudine. L'immagine ferma dei quadri, in
forza della loro chiusura (stanno li difronte, con i loro confini ben
definiti) ha sollecitato in me, un momento di astrazione, non molto
diversa di quella dello stato d'animo che ci pervade, quando ci
accingiamo a sfogliare con avidità le pagine di un libro, quando
riusciamo a concentrarci attentamente nella lettura. Anche qui
per la semplice contemplazione delle tele, è per l'osservazione
dello scorrere delle immagini, del racconto pittorico intriso e
denso di colori e di cromatismi irripetibili, è necessario
concentrarsi. E' così che le opere del Diara, ci traghettano in un
mondo silenzioso solo apparentemente. Fissando le tele,
veniamo istintivamente invitati, non solo a leggere esteriormente
un'immagine, ma ad addentrarci nelle profondità, nei meandri più
nascosti dell'anima alla ricerca del non detto, fra le ombre e le luci
dei colori, per coglierne i segreti più preziosi. Allora, quelle scene
su tela apparentemente immobili si animano, muovono mondi
segreti e, scatenano sensazioni che catturano e coinvolgono
totalmente colui che li ammira. I dipinti s'impadroniscono
dell'osservatore e, introiettano dentro, tutti i panorami e gli scorci
della terra di Sicilia, ove affiorano appena, storie, miti e leggende
lontane. Diara, col suo tratto pittorico, ripropone l'epica dei suoi
predecessori, dei loro paesaggi e dei tratti di corpi svelati, che
eruttano l'anima mediterranea, cui gli artisti isolani, resero eterno
omaggio. L'osservatore più attento, viene inconsapevolmente
preso per mano e, mentre si affaccia difronte alle scene dipinte, si
ritrova immerso in un nuovo contesto. Un fenomeno non dissimile
da quello dell'ascolto partecipante, dove tutto risuona, oggetto,
soggetto e contesto: qui il fruire delle immagini significa starci in
mezzo, esserci dentro. Il soggetto entra in risonanza con
l'oggetto, prende parte ad esso, anzi ne diventa, egli stesso,
parte integrante. L'astrazione affabula, allora al Diara riesce
un'operazione di rara intensità, come i prodigi che compie il
musicista che riesce a farci sentire i colori egli diventa il pittore
capace di farci vedere con maestria, anche i suoni. L'artista Ibleo,
cambia la prospettiva dell'osservatore: non più un soggetto
esterno che inquadra, incornicia l'immagine e la fa sua, ma grazie
alla magia del suo pennello, fa si che la metamorfosi si compia:
palcoscenico ed attore allora si integrano. L'osservatore è spinto
direttamente inscena, assorbito, incluso, assoggettato
all'immagine che lo avvolge interamente e lo fa totalmente suo.
L'opera pittorica di Giuseppe Diara ammalia, basta poco tempo
per comprendere che, nei suoi scorci assolati, nelle albe e nei
crepuscoli isolani, fra i suoi nudi prorompenti, non c'è alcuna
solitudine, perché noi stessi popoliamo il suo universo poetico,
perché stiamo interamente immersi dentro ai suoi mondi. Il
coinvolgimento è totale, la visione attiva l'umana comprensione
de è un vero e proprio invito a ritrovarci, prima con noi stessi poi
con i nostri simili. Un vero messaggio d'amore, per il paesaggio e
per l'umanità che lo abita. Un appello che, nasce da una
testimonianza d'autore, ed è destinato al futuro. S'alza dai
pennelli di Diara, un canto corale che si leva verso il cielo che
sormonta l'ambiente isolano. E' un canto armonico di sottofondo,
quello che aleggia nella luminosità quasi dolorosa della
campagna siciliana nei giorni d'estate . Nei paesaggi di Giuseppe
Diara, appaiono scorie, s'intravvedono manomissioni e si notano
tracce di rottami che lo insidiano in tanta parte. Ci sono
campagne, colline, scorci che c'erano già tanti secoli fa e che,
fortunatamente, ci sono ancora e, quando è ancora possibile
palpare la bellezza della natura, quando ci si rende conto che
l'immagine che l'arte propone, vive ancora nella realtà,
l'emozione diventa straordinaria. La manomissione del
paesaggio siciliano, in più parti lungo le coste, nell'entroterra
osservato dall'artista, è quasi impercettibile. L'interno dell'isola
infatti, è ancora un'oasi quasi incontaminato, la natura è
praticamente immutata. C'è tutta l'intensità della luce: unica,
intensa, irripetibile dell'isola. – Ecco allora che anche le tonalità
prevalenti e le ombre tracciate da Diara, ricordano ciò che ha
scritto Antonio Paolucci a proposito di Antonello Da Messina –
“…Ma lo splendore della luce meridiana che ' imbalsama' le cose
per cui il cipresso e la montagna, il muro di cinta e la ' trazzera',
acquistano una assolutezza quasi metafisica, questo, ad
Antonello, lo aveva insegnato il paesaggio di Sicilia.” Il materico
di Diara si mimetizza e quasi scompare nella raffigurazione e
nelle scene che ci propone, egli usa colori e strumenti con
maestria ed abilità, usa la saggezza tramandata dai padri, si fa
umile e disponibile a cogliere dall'esperienza e dalla tradizione
tutta la ricchezza della conoscenza e della materia disponibile fra
le terre e la gente che popola il pianeta del suo universo d'artista.
Diara è un testimone dei nostri giorni, consapevole e talentuoso,
egli è nello stesso tempo, maestro ed alunno, impegnato com'è a
continuare a sperimentare ancora attraverso la sua arte, angoli,
tonalità e prospettive che possano arricchire non solo il proprio
patrimonio pittorico privato, ma la storia universale del sentire e
del mostrare, attraverso l'occhio e le mani, dei grandi della
pittura.