Dott.ssa Maria MONTEVERDI
Quante vite ci sono oltre la nostra? Troppe esistenze ci passano accanto
ogni giorno: ci sfiorano, ci ignorano e distrattamente se ne vanno. Viviamo
quotidianamente rinchiusi in un universo urbano che abitiamo e che, giorno
dopo giorno, diventa una prigione oltre la quale è difficile volgere lo sguardo.
Le strade, i palazzi, i cartelli stradali nelle opere di Rizzo Schettino raccontano
al pubblico qualcosa delle persone che abitano queste città e del loro
mondo interiore. La malinconia prende la voce e narra la delicata sofferenza
dell’essere umano che si ritrova rinchiuso in una gabbia di ferro e cemento
armato, che si perde nell’infinito delle forme geometriche dei palazzi che lui
stesso ha costruito.
Pensandoci bene esiste un paradosso di fondo a questa situazione. La città,
creata dall’uomo apposta per avere una casa, un nido dove poter essere al
sicuro, si trasforma nel luogo dell’indifferenza dove la moltitudine degli edifici
crea sempre più distanza. Ci concentriamo su quello che dobbiamo fare, chi
dobbiamo vedere e non alziamo mai lo sguardo per osservare anche solo gli
occhi di chi ci passa accanto. E così ci ritroviamo in balia della nostra vita
senza comprendere quasi nulla di ciò che ci circonda, perennemente
connessi ma costantemente isolati, ignari dei sentimenti e dei pensieri di chi
è seduto di fianco a noi in una sala d’attesa piuttosto che al bar. A
possederci non è più il senso di protezione e di unione. Prendono il
sopravvento la paura, l’indifferenza, la solitudine: una miscela chimica di
emozioni che ci stringe nell’angosciante bisogno di sentire che esistiamo,
almeno per qualcuno.
E’ proprio su questo aspetto affascinante quanto paradossale che si
concentra Rizzo Schettino. Egli affronta con grande sensibilità artistica il tema
della non-vita, fatto di esistenze che ci sono e non ci sono, e il tema del
riflesso. Quest’ultimo si attualizza nella sua forma più esplicita attraverso la
rappresentazione dell’immagine specchiata e pertanto deformata del
grattacielo, figura simbolo del progresso urbano. L’architettura, deformata, si
insinua tra le figure umane in maniera spettrale, evanescente ed
inconsistente, come le vite di chi la abita.
Quello che accomuna le opere di Schettino è questo continuo
susseguirsi di presenze ed assenze: di vita, di sentimento, di
figure architettoniche. Sembra sempre esserci tutto e subito dopo
mancare qualcosa di fondamentale. Questo senso di
incompletezza che denuncia l’artista tuttavia non rimane irrisolto o
rinchiuso nel dilemma del paradosso.
La presenza e l’assenza che percepiamo come parti costituenti la
realtà non sono da considerarsi come pezzi di un puzzle, finiti ed
immobili. La soluzione sta nel concepirli come continui e in moto
perenne. Rizzo Schettino descrive la realtà come un movimento
dialettico perenne tra ciò che è presente e ciò che è assente, tra
ciò che si riesce a percepire e ciò che si riesce solo ad
immaginare, tra ciò che viene detto e ciò che rimane taciuto.
Proprio attraverso questa inarrestabile interazione, che riprende la
dialettica idealista tedesca tra ciò che esiste, l’io, e tutto ciò che è
altro da questo, il non-io, è possibile per l’artista riuscire a
rappresentare la realtà che ci sovrasta,il tutto in cui siamo immersi,
l’assoluto di cui facciamo parte.