Mauro Carrera
Un Po di me.
Opere di Grazia Badari
Il fiume scende, come la sera
e non so stare senza di te (…)
Non so se il tempo mi darà
un attimo di più, per te
intanto vivo, vivo così.
Garbo, Il fiume
Noto ai greci come Eridanós (Ἠριδανός), ai galli come Bodinkòs e ai romani come Padus, il Po è il fiume più importante del belpaese.
Fetonte, figlio d’Apollo, ottenne dal padre il permesso di guidare il carro solare per un giorno. Inesperto perse il controllo ed il carro si avvicinò troppo alla Terra causando disastri. Zeus, infuriato per la distruzione, colpì il carro con un fulmine e precipitò il giovane Fetonte nelle acque del fiume Eridano. Le sorelle Eliadi lo piansero: le loro lacrime divennero ambra e loro, per la disperazione, si trasformarono nei pioppi che contornano ancora adesso il grande fiume.
Nella seconda metà del Novecento scrittori come Gianni Celati, fotografi come Luigi Ghirri, pittori come Carlo Mattioli hanno restituito l’aura mitica a questo protagonista assoluto del nostro paesaggio naturale, antropico e interiore. Sono proprio gli artisti dell’area mediopadana – Libero Tosi e Giovanni Miglioli, per citarne un paio – a rendere la testimonianza più intensa di questo corso d’acqua che scava da sempre l’alveo di innumerevoli esistenze. Su questa scia si colloca l’attività pittorica di Grazia Badari.
Con l’intento di rendere ragione di questo percorso artistico ed esistenziale, sabato 2 marzo la Galleria Sartori di Mantova presenta nei suoi ambienti l’esposizione Un Po di me, che raccoglie alcuni dei lavori più recenti della pittrice luzzarese. Sin dal titolo – Un Po di me – appare evidente la profonda e irrinunciabile relazione di Badari con il “grande fiume”, da sempre fonte d’ispirazione privilegiata per generazioni di artisti padani, noti e meno noti. Per i pittori nati e vissuti lungo le sue sponde, il Po incarna una presenza ad un tempo familiare e magica, vitale e ancestrale. Badari non fa eccezione a questa consuetudine anzi, in tutta la sua produzione e soprattutto nell’ultima, dimostra un intimo rapporto di compenetrazione con lo scenario fluviale, quasi esso le appartenesse (o viceversa).
Negli ultimi quindici anni ho avuto modo di conoscere l’impegno artistico di Grazia Badari: l’ho invitata più volte alla rassegna Arte in Arti e Mestieri di Suzzara; ho curato altre due sue personali nel mantovano, alla Sala Dino Villani di Suzzara (2022) e al Torrazzo di Commessaggio (2023). Ho sempre trovato nella sua pittura un’eco letteraria, come in una prosa lirica scevra di fronzoli, che dal paesaggio approda all’informale attraverso un processo di semplificazione, di astrazione, dissolvendo i contorni figurativi in sensazioni personali.
Nei lavori presentati in questa prestigiosa cornice mantovana, il disegno preparatorio si è ormai dissolto, lasciando il posto all’emozione nella sua purezza più autentica. La figura, simulacro confortevole della realtà, ha lasciato il posto ad una pennellata informale, memore subcosciente del migliore astrattismo europeo da Jean Fautrier a Wols a Nicolas De Staël. Se alcune opere – Alberi uccelli nuvole stelle, Bosco materico, Cielo e terra, ll fiume, Panorami rossastri e Riflessi sul grande fiume – sembrano mantenere ancora i contorni di un discorso paesaggistico seppure ormai irreale, in altre tele – Cieli azzuri, Gialli e rosa (Primavera), Rosa (Estate), Giallo (Autunno), Azzurri (Inverno), Ultima ansa, Bosco azzurro, Riflessi giovanili, Crepe, Voglia di giallo, Il mio argine e Deserto – il legame con la rappresentazione è ormai arbitrario, cionondimeno fortemente intenzionale.
Questi dipinti scaturiscono indifferentemente da scenari naturali come da sensazioni e riflessioni interiori dell’artista, generando una realtà ulteriore che parla direttamente a chi guarda, distogliendone l’attenzione da espliciti riferimenti naturalistici. Ogni occasione è buona per riprendere questa conversazione elettiva con il pubblico, fiabesca eppure sincera. Esperienze, accadimenti, sentimenti sono l’innesco per una riflessione originale e partecipata, sintomo di una profonda esigenza comunicativa di Badari, che trova espressione nel gesto, nel segno e nel colore, nella sua essenza più intima e autentica.
Lo studio pluridecennale, l’esperienza tecnica e la costante ricerca espressiva, le permettono di esprimere sulla tela quanto appreso guardando alle esperienze artistiche moderne e contemporanee. Impiega sulle sue tele la tempera e l’olio, ricorre alla cenere organica mescolata ad agglomeranti vinilici e vernici, rendendo ogni sua opera un esemplare perfetto del processo creativo.
Guardando alle opere raccolte in Un Po di me, entriamo in contatto con l’anima di Badari e con una dimensione “padana” della vita, tra le brume invernali e l’afa estiva, che avvolge persone e cose raccolte lungo gli argini. Il fiume, un tempo epicentro imprescindibile della “civiltà” (non solo di quella contadina), oggi rischia di essere escluso dalla nostra esperienza diretta, quasi un fossile di un’altra era. Le alte anse eridanie sono snodi esistenziali di vicende e persone, in uno scenario tra sabbia e vegetazione, tra meandri vivi o estinti, giunti a noi da lontano e destinati ai posteri, attraverso la fortunata mediazione di artisti sinceri, come Grazia Badari.
Parma, giovedì grasso 2024.
Mauro Carrera