Sono nata a Cropalati abito a Buenos Aires
RICORDI -ARGENTINA.
Ho tanti ricordi della mia infanzia e anche se qualche immagine si é
cancellato col passare del tempo, altre sono rimaste profondamente
incise nella mia anima. Le voglio trasmettere affinché non siano
dimenticate.
Sono piccole storie, cose quotidiane, ma non per questo meno
importanti, sono le cose che ci aiutano a comprendere la vita ed il
caratere di una famigia.
Ogni storia ha una grande valore, molte sono simili ma nessuna uguale.
Portrei dire tante cose di mio padre, fu un uomo semplice e sensibile.
Gli piaceva la natura, stare all’aperto e soprattutto la terra. La
lavorava non tanto per necessitá ma per l’amore che lo legava ad essa.
Per lui ogni seme aveva valore. Lo curava con tanto amore e dedizione.
Per contribuire all’economia familiare, coltivava dall’umile lattuga
alle piante piú preziose. Allevava conigli e maialini d’India, e noi
ragazzi ci affezionammo tanto a qauesti animaletti che non volevamo
piú mangiarli. Quindi mio padre smise di allevarli. Chissá se mio
padre si privó di mangiare ció che gli piaceva per non vedere le
nostre lacrime?
Ha sofferto tanto le conseguenze della guerra, evitava l’argomento
dicendo che erano cose tristi. Diceva sempre “maglio dimenticare”.
Tuttavia il suo atteggiamento cambiava quando gli kchiedevano della
sua ferita di guerra. Era stato ferito in combattimento, al gomito. Io
mi sentivo orgogliosa di avere un papá veterano di guerra. Ma allo
stesso tempo non riuscivo a capire come avesse potuto sparare a un
altro uomo. Un giorno, vincendo la mia timidezza, e senza misurare le
parole gli chiesi come avesse potuto fare una cosa del genere. Mi
guardó e vidi nei suoi occhi una grande rassegnazione. Allora con
grande convinzione e parole semplici mi rispose: “se non gli avessi
sparato io mi avrebbe sparato lui”. In quel momento mi resi conto che
non c’era stata alternativa. Ancora oggi lo ricordo e mi commuovo
davanti a questa veritá cosí fredda ed assoluto.
Appena arrivati in Argentina, inizió a lavorare, ma un incidente o
immobilizzó per quasi un anno. Una volta rimesso, ottenne un lavoro al
comune come operaio. Lavorava nella manutenzione delle strade. E
quando lo prtendevano in giro, rispondeva sempre: “voi non sapete che
cosa significhi lavorare all’aperto: in inverno il freddo ti congela
le ossa e d’estate il catrame caldo sotto il sole inclemente ti brucia
finanche l’anima”.
Avevamo anche un alimentari, che ci aiutó tanto economicamene. La
nostra clientela era molto varia e talvolta era difficile comunicare,
spesso ci intendevamo a segni. Succedevano anche cose curiose, ricordo
una conversazione tra mia madre e una signora paraguaiana che lavora
lí vicino. Mia madre parlava di una cosa e la signora rispondeva
un’altra, ma entrambe continuavano questa conversazione come seguendo
un filo immaginario. Io, nella mia innocenza lo feci notare a mia
mamma, ma lei mi rispose: “sta’ tranquilla, non ti preoccupare”.
Avevamo a casa un cortile pieno di casse e bottiglie. Mio padre alle
volte si sedeva su una di quelle casse e si metteva a scrivere alla
famiglia in Italia, e gli raccontava quanto era bello vivere qui. In
certi momenti nei suoi occhi traspariva una grande tristezza, gli
tornavano ricordi lontani: i suoi monti, i costumi secolari, le
leggende; era abituato alle difficoltá della vita, e si difendeva
dall’irremidiabile idealizzandolo. Quando gli mancavano poche righe
alle fine della lettera, mi chiamava: “vieni, vieni”, voleva che
scrivessi anch’io qualcosa alle zie, ma all’epoca io ero troppo
piccola e non sapevo scrivere, allora lui con tanta pazienza disegnava
le lettere su un foglio a parte e io le copiavo. Erano sempre le
stesse parole, “care zie”, quando finivo di scrivere, il suo volto si
illuminava con un grande sorriso, era un momento magico, avvertivo che
oltre l’oceano c’erano persone che ci volevano bene.
Le lettere tardavano tanto ad arrivare, il giorno che ricevette la
notizia della morte di sua sorella, dopo averla letta non riuscí a
parlare. I suoi occhi si sciolsero in un pianto sommesso ma profondo.
in quel momento ebbe la certezza che non sarebbe mai piú ritornato a
rivedere i suoi monti e a riabbracciare le persona amate. Per tante
settimane la casa si vestí di lutto stretto.
Nel quartiere, quando arrivó la linea 47 del pullman, ci fu una
rivoluzion. Facevano tanto rumore che allevolte non si poteva dormire,
mio padre diceva che lo facevano di proposito, e molte notti dovette
alzarsi e andare a protestare , e ricordargli che anche lui lavorava e
che si alzava alle 4:30 del mattino. Ciononostante, spesso portava
loro bevande fresche d’estate e calde d’inverno. Quando si ammaló
tutti venivano a trovarlo, non fu mai solo. Fu un uomo molto
rispettato; il suo carattere aveva la semplicitá di chi vive la
realtá, consapevole che non si puó cambiare. Il giorno della sua morte
un corteo lunghissimo lo accom,pagnó nel suo ultimo viaggio
"Sono una donna la cui storia si assomiglia a quella di tante donne
immigranti calabresi. Nata a Cropalati, in Calabria, Italia, in un
paesino di montagna, proprio da favola, e da dove si possono osservare
bellissimi paesaggi. Sono nata nel dopoguerra ed essendo mio padre
reduce di guerra ne soffrivamo le conseguenze, il che ci ha costretto
ad emigrare quando io avevo due anni. Sebbene gli anni passassero, dai
miei genitori gli argomenti di conversazione erano sempre gli stessi:
la terra lontana, la nostalgia, la famiglia e tutto ciò che riguardava
la famiglia calabrese. Questi sono i motivi per cui la cultura e la
lingua italiana hanno acquistato fondamentale importanza nella mia
vita. Sono sempre stata in contatto diretto con le mie radici. Dopo 50
anni ci sono ritornata, ho potuto conoscere e ricevere l´affetto della
mia famiglia lontana. Sono rimasta commossa dallo splendore dei
paesaggi di un mondo che adesso sento veramente mio. È la mia seconda
casa, come mi piace chiamarla. Finalmente sono riuscita ad allacciare
nel mio cuore l´Italia e l´Argentina.