Diego Pierpaoli
Divido con voi, pochi privilegiati, la gioia di poter parlare dei valori, beni così rari e deserti attorno, che l’amore per essi nascosto e sofferto porta alla commozione. Questa bellissima anima e le sue stupende creature sovvengono le mie prime intuizioni entusiastiche della grandezza delle opere e delle riflessioni di un Gauguin, di un Van Gogh, di un Modi, la penetrante partecipazione alla loro vita così disperata e l’ardore giovanile della lotta contro tutti quegli imbecilli che formano la nefasta maggioranza compatta che, dice Ibsen, governa il mondo. La sua pittura è chiara e forte. Dona alle forme astratte la potenza e l’impegno dell’espressionismo. Colori forti e profondi. Guizzi di luce accendono e svelano il culto nascosto del bello e del giusto, guizzi che conservano integra una esistenza che per non cadere nel compromesso ricorre al silenzio o ad una necessità motivante. Eppure da molti “amici del popolo” ho sentito dire, a proposito delle sue opere, di caleidoscopi, di naif, di mancanza di un sostrato culturale. Prego costoro, poichè nei loro confronti è solo possibile porre un interrogativo analogico, di notare come mal si addice alla loro tesi l’originalità della composizione, la raffinatezza cromatica, la tensione evolutiva della successione delle opere che da un acceso clamore iniziale giunge ad un’analisi più riflessa del suo messaggio. E quanto a presunzione, miei cari “amici del popolo”, voi non ne avete la misura.