Egidio Maria Eleuteri,
critico e storico d’arte (parte del testo è presente nella nota critica sul 51° CAM Giorgio Mondadori)
Nel mondo antico la scultura aveva il primato nel campo delle arti; infatti la pittura (quasi sempre decorazione murale) era relegata nelle magioni o nei templi unicamente come elemento decorativo, non avendo le assolute valenze sacrali e censuarie della scultura. All’interno del tempio o delle grandi ville il ruolo principale era riservato alle statue, sia che rappresentassero le divinità, che i monarchi. In quell’epoca i Re sceglievano senza la mediazione della critica gli artisti che dovevano ricordare le loro gesta e le loro vittorie. Alessandro Magno scelse, tra gli artisti che soggiornarono alla corte Macedone durante la sua massima espressione, i tre considerati i maggiori del mondo greco: Prassitele, che scolpiva unicamente marmo attico; Lisippo, che lavorava unicamente utilizzando il bronzo e l’oro (Cellini stesso lo riconosceva come il più eminente modellatore di tutti i tempi); poi si degnò di scegliere anche un pittore, il grande Apelle che divenne il suo ritrattista ufficiale. Questa superiorità della scultura sulla pittura dopo il quattordicesimo secolo iniziò ad affievolirsi, fino a quando agli inizi del diciannovesimo secolo la pittura ebbe il primato; essendo divenuta l’arte di riferimento della borghesia che in quell’epoca iniziava ad emergere, ponendosi al comando della Società. Ignazio Colagrossi si è dedicato fin da giovane all’arte, concentrandosi con maggiore attenzione alla scultura. Il suo stato ansioso creativo lo spinge a cercare in questo tipo di espressione il recupero della memoria, del racconto del quotidiano, del visto. Colagrossi sceglie di raccontare il suo messaggio utilizzando principalmente l’espressività delle masse scultoree, ben conscio di viaggiare su una strada difficile, se non ardua. Scegliere di comunicare attraverso la scultura, nell’attuale momento artistico, attraversato da molteplici tendenze, non è cosa semplice; si può cadere nell’impronta artigianale, o nella modesta replica del passato. Ma proprio in alcune delle sue opere che si inoltra in una ricerca attenta ad una valorizzazione della figurazione, metodo che innalza il corpo e la cronaca del quotidiano a racconto principale. Da quelle radici nasce l’albero che testimonia la sua visione della vita. In alcune sue opere quali Sacra Sindone, Volto del Cristo,Frumento del Cristo, Stretta di mano, Le mani di Manzù, si eleva un concetto di un nuovo classicismo nel quale si articola il suo modellato, libero da quella dinamica operativa fatta di masse informi (molto facili ad eseguirsi), tipiche di molti attuali scultori. Colagrossi tende nelle sue opere, nei suoi bassorilievi, nei suoi racconti artistici a raffigurare la sua scelta culturale vivificata da una sensazione plastica, quasi lirica, chiaramente realistica e leggibile.