Alessandro Poncia

Che strana … è l’Arte… così policromatica … metaforica, incontrai gente che vedeva nell’Arte una gigantesca metafora, dove nulla è certo e tutto è discutibile, argomentabile, fascinoso, spesso falso.

Così diventa impossibile, una volta entrati in questo mondo, raccapezzarsi a proposito di cosa sia oggetto dell’Arte, quale sia il suo imperscrutabile scopo se ne ha uno e, poste queste premesse di incompiutezza, come determinare e coerentemente individuare quale sia la differenza tra la crosta di un imbrattatele ed un’arcana Opera d’ Arte. Vi è un messaggio, un concetto, un contenuto che, sotto ogni suo aspetto, l’Arte dovrebbe preoccuparsi di rappresentare? Parrebbe di sì, perlomeno a giudicare dall’immane congerie di apodittici autoincensimenti così comuni nell’artista medio e “geniale”  contemporaneo …

L’Arte è espressione di sé, del proprio io, della propria identità, della singola individualità che si erge a soggetto creante; il contenuto, il messaggio diviene personale, soggettivo. Non si comunica qualcosa di vero, qualcosa di relativo o, meglio, si comunica la verità della forma del contenuto ma non la verità del contenuto del contenuto.

Cmunicando se stesso, l’artista comunica un sentimento soggettivo che è vero in quanto senziente ma al contempo falso perché, in quanto particolare immanentizzato, è soggetto a mutamento perciò non assoluto. Altro aspetto dell’Arte non secondario ma compenetrante il contenuto è la forma con la quale l’atto comunicativo avviene, vale a dire la tecnica. Un’estetica tecnica pura, ossia l’astrazione del contributo formale da quello concettuale, trasforma quel meraviglioso equilibrio di forme e colori carichi di significato in una mera tessitura concettuale serializzata: l’Arte, divelta dall’oggetto che si incarica di rappresentare si risolve in sterile perizia tecnica apprezzabile, certo, ma arida, più simile al frutto del lavoro di un artigiano che della poiesi artistica.

La creazione artistica si basa sul libero accordo di tali elementi, elementi che, in base alla sensibilità dell’artista, si uniscono e si dissociano all’interno della sua mente.

Ma oggigiorno non è, forse, il contenuto soggettivo? L’artista che esprime se stesso non esprime forse, in tal modo, ciò che percepisce lui e non ciò che chiunque altro percepisce? La forma con la quale lo comunica è anch’essa idonea al suo modo di percepire è, cioè, improvvisata. Spesso, di fronte a tale scempio artistico, diviene impresa di immensa lode discernere il puro artista dal ciarlatano. Sovente il commento ad un’opera assume i toni di un esercizio di retorica.

Non vi è spazio per il vero, solo per il soggettivo, a canone si erge il fugace soggetto: certo, nell’era del crepuscolo della metafisica ove agli immutabili vengono sostituiti feraci succedanei, pare impossibile che, perlomeno a pubblica discrezione, siano assunte fedi incontrovertibili: tutto è fagocitato dall’imperituro divenire, la verità è molteplice quanti sono i soggetti dotati di volontà.

In questa landa desolata scevra da ogni ideale, l’artista è posto davanti ad un bivio, ad una scelta che spesso non coglie appieno, egli è, per così dire, costretto a decidere se sottostare al totalizzante impero della soggettività od optare per una soluzione estetizzante, ossia, per una soluzione che veda nell’opera d’arte il senso dell’esistenza.

La vita è tragica, assurda, il dolore dell’artista trova la quiete ed un senso nella creazione, nell’eternizzazione del proprio sentire: attraverso i fiotti della tecnica sgorga il sublime nettare dell’opera d’arte con lo scopo di sedare gl’inquieti animi arsi dalle convulse pulsioni che lo dilaniano, punto di contatto tra bestialità e spiritualità e, crivellando le sue membra , lo tormentano.

L’arte rende la vita desiderabile, alla domanda “perché vivo”? L’artista risponde: creando!

Alla sua sofferenza insensata e tragica perché assurda, egli contrappone l’irriducibile spinta vitale derivatagli dall’istinto, al crepuscolo delle certezze metafisiche contrappone il momento aurorale della genesi artistica.

La soluzione estetica risiede nell’istante in cui l’animo dell’artista, macerato dal dolore, si perde nell’immenso turbinio della creazione; il delicato spirito di Ileana Della Matera ha compiuto questo travagliato itinerario uscendovi non del tutto illeso: nei suoi procellosi oceani si respira il senso di una vita che pulsa e crea, non vile disfattismo. Ella fugge le tetre voluttà del pessimismo rifugiandosi nel pericoloso antro del sublime. I suoi dipinti si nutrono come naturali commensali al cenacolo della vita, lei mesce in ogni goccia di tintura il senso dell’opera stessa, il senso che è il perdurare, per quanto possibile, di quella dolcissima crudeltà che è la sua Arte.


Alessandro Poncia

Colico (Lc) 2003