Carlo Parisi
Nei contorni netti, nell’assenza di sfumati, nelle proposizioni assertive, nei sì / no di colore di Ivan Colangelo c’è tutta la sua storia umana, la sua vicenda terrena, il suo sguardo
attonito sul mondo. I colori non si mischiano e si rinserrano ognuno nel suo terreno, senza
dubbiosa mescolanza, senza promiscuità cromatica: verrebbe da pensare che Colangelo
vuole tenersi stretti tutti i suoi dubbi, e vuole tenersi solo i suoi, orgogliosamente e con un
poco di sacrosanta vanità.
Tutta la forza della visione allucinata, mescalinica -è affidata dunque alla coppia
soggetto / oggetto, all’angolo e al timing dello scatto, che è una presa d’atto, un’agnizione,
un aknowledgement improvviso e statico. Ma chi l’oggetto? Chi il soggetto? Come in una
partita a ping-pong i ruoli si scambiano alla velocità della battuta, quasi che il rapporto sia
come la pallina in movimento: una volta all’uno, una volta all’altro.
Se il dolore è inflitto all’oggetto dal soggetto, o dal primo al secondo con la sua resistenza
o il suo sottrarsi, Suspension of Pain ci indica subito che il rapporto è sospeso, o
indefinito: acquerellato, in stridente contrasto con la nettezza dei contorni.
In tre lavori su quattro non si vedono occhi e visi umani. L’umanità è delegata al cane,
antonomasia di una visione pulita, ingenua, pre-morale. L’esclusione degli occhi umani
dalla scena è come quando incrociamo quelli indagatori di un osservatore: il primo istinto è
rivolgerci altrove, abbassare lo sguardo, e solo dopo forse tornare per un gioco ormai
scoperto e consapevole. Colangelo sembra non volerlo affrontare quello sguardo, ed
anche lui, come la pallina del ping-pong, si sposta indeciso tra il bipede e il quadrupede.
Zuppi come siamo di sudore ebraico, le citazioni bibliche ci sfuggono incontrollate come
monete da tasche bucate. I due chiwawa, l’uno all’altro come in uno specchio, accoccolati
nel bel mezzo del Mar Rosso -verde di gialli girasoli -che si ritrae, si apre… anzi: si
sospende, ad accogliere una fuga improbabile e indesiderata: il chiwawa è seduto sul
destino, immobile, la sua fuga rimarrà teorica e il Mar Rosso dei girasoli resterà sospeso.
Perché poi il chiwawa dovrebbe voler fuggire? Da cosa? L’evoluzione l’ha ormai dichiarato
inadeguato a una vita autonoma, inadatto a una sopravvivenza senza uomini, trasformato
in un lupo da borsetta o da auto sportiva.
In mancanza di una risposta netta come i contorni dei suoi lavori, teniamoci il dubbio
allora, insieme a Colangelo. Teniamoci il ping-pong, la borsetta, l’auto sportiva, la stanza
d’albergo e i girasoli, che come pareti d’acqua si degnano di non schiacciarci.
E se proprio pena dev’essere, che si chieda al giudice quantomeno un’istanza di
sospensione.