Barbara Reale (Exibart - Artribune)

La mitologia e? tra i temi classici uno dei piu? sfruttati dagli artisti in ogni secolo, per ricchezza d?immagini a cui attingere e suggestioni altamente evocative da ricreare. Soprattutto nel Medioevo l?arte religiosa, sia nella pittura che nella scultura, si compiace di illustrare le parti allegoriche e mitologiche di testi tramandati dai piu? autorevoli scrittori. Nello specifico Krisztina Szabo (1980, Budapest), storica dell?arte di formazione, studiosa e appassionata di antropologia culturale e arti fugurative, ha deciso di concentrare la sua analisi sulla complessa opera latina di Ovidio Metamorphoses. Egli si dilungo? in eterni versi musicali, scrivendo di creature tormentate che si sostituiscono ad elementi animali e vegetali, ritrovando nella mutazione l?unica soluzione al dramma in atto. Attratta dall?eleganza formale del poeta e dalla ricchezza del patrimonio culturale dei complicati intrecci proposti nei 15 libri dell?opera, Szabo concretizza una personale astrazione figurativa nello slegarsi da qualsiasi forma di omologazione intellettuale, per dirigersi verso una rappresentazione armonica ed estremamente essenziale nelle parti pulsanti della struttura compositiva. La metamorfosi come estrema punizione o ausilio divino in situazioni di grande emergenza e pathos narrativo trova una sua ideale interpretazione nella ricerca di una linearità stilistica, uno stile in cui i confini sono netti pur in assenza di contorni e sfumature: la pennellata e? piatta, il colore puro. L?appassionante musicalità dei versi ovidiani viene stemperata e bloccata in un istante di luminoso distacco temporale . Due moderni trittici in mostra: da un lato le ninfe senza individualità nei lineamenti indefiniti con elementi anatomici e cromatici ricorrenti, dall?altro Persephone e Plutone che si respingono in un?antitesi di forme e temperamento. La trasformazione spesso e? originata dall?accorata richiesta di salvezza da parte di fanciulle inseguite da divinità voraci e follemente innamorate: Daphne e Siringa divengono elementi naturali e si ricongiungono al ciclo universale, in una rappresentazione molto distante dal coinvolgimento emotivo presente, in particolare, nella scultura del Bernini dove la giovinetta braccata e? piena di palpitante sgomento. Lo stesso inquietante distacco che si percepisce anche nell?originale proposta di Szabo per il Narciso, di cui innumerevoli sono le edizioni, ma mai si ricorda rappresentato morto in una tale ardita prospettiva che pone in primo piano solo una mano, estrema beffa del destino che ne cela l?amato volto. Anche l?ironia non manca nella simbologia scelta dall?artista, che spesso attinge alle tradizioni culturali della sua terra d?origine: il personaggio IO durante la metamorfosi mostra all?osservatore il lato posteriore di una mucca tipica ungherese, in una prospettiva realisticamente caravaggesca. Tra i miti piu? poetici rielaborati quello di Alcione che raggiunge punti di pathos intenso e si smorza in modulazioni delicate e struggenti. Il profondo amore coniugale, l?estrema sofferenza per la morte del marito Cei?ce muove a pietà la dea Giunone, che trasformerà la donna in un cigno, mentre bacia la salma del marito morto annegato. Anch?egli diverrà un uccello per stare sempre unito alla sua devota consorte. Il forte sentimento e la delicatezza delle figure affiorano anche nel dipinto, anche se la struttura formale rispetta il fil rouge che unisce tutte le opere esposte. (Barbara Reale)
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