Monia Baldacci Balsamello
Laura Correggioli fa della sua mostra un manifesto. E un manifesto, per essere credibile, deve essere un interruttore di consapevolezza. Lo è fin dal titolo, #quellache, locuzione che pretende di catalogare in modo netto, preciso e generale realtà che invece sono sfaccettate e uniche. È naturalmente una provocazione che vuole scuotere dal torpore dell'indifferenza. Le etichette sono comode. Pretendono di sintetizzare in pochi elementi realtà complesse. Le etichette sono pericolose. Aprono la porta a diffidenza e discrimazione. Ancor peggio, ci spingono a credere che la nostra verità sugli altri sia l'unica valida, trasformando le persone nella citazione che facciamo di loro.
Ecco allora che questo percorso per immagini e parole proposto da Laura ci invita a riflettere in modo critico sul pregiudizio, in particolar modo quando ingabbia le donne tra le sbarre degli stereotipi sociali. È una proposta diretta, immediata, senza filtri se non quello della tecnica pittorica scelta dall'artista, la sua cifra stilistica. Quel suo tratteggiare chiaro e quasi chirurgico volti e dettagli, senza mai scadere troppo nel puro figurativo. Perché Laura sa che ogni immagine, per quanto fedele possa essere, non è mai la realtà. Il disegno di un ponte non è il ponte. Ed è su questa differenza, questo scarto, che lei lavora. Le visioni che abbiamo degli altri sono sempre parziali. E non andrebbero mai scambiate per realtà assolute e universali.
Qui ogni singolo universo femminile viene rappresentato attraverso un vero e proprio contenitore, costituito da un ritratto, una storia di vita e una considerazione socio-culturale. Un mix che è come un lampo, capace di illuminare di colpo le coscienze e inchiodarci a tutte le volte che siamo stati rinchiusi in una definizione o bollati con un'etichetta. Soprattutto, a quando troppo superficialmente lo abbiamo fatto a nostra volta, dando il via o giustificando opinioni infondate, gogne, intolleranza e prevaricazioni. Ogni volta che abbiamo definito una lei del nostro quotidiano “#quellache”, certi di avere la sua verità in tasca.
Laura stessa va oltre (non a caso) la definizione tipica di “quadro”, arricchendo la tela, i contorni e i colori con una narrazione che amplifica i significati sprigionati in prima battuta dalla tela. Una verità aumentata. Le parole qui non sono didascalie esplicative, ma diramazioni ulteriori che aprono nuove finestre. Provocano la riflessione e spaziano negli esempi di vita concreta di cui ognuno di noi è testimone o protagonista.
Così facendo, Laura rende onore a quella che di fatto dovrebbe essere un'urgenza degli artisti. Quel “mandato sociale” che è la delega implicita che il pubblico concede all'artista, perché crei opere dotate di un valore simbolico per l’intera comunità di riferimento. Una rappresentanza sociale di sentimenti, linguaggi collettivi e valori simbolici identitari che, partendo dal particolare di un'opera o di un percorso tematico, spazi verso fenomeni ad ampio raggio.
In questa mostra, ritratto per ritratto, guardiamo letteralmente in faccia una serie di pregiudizi, le opinioni sbagliate che si frantumano di fronte alla realtà effettiva delle cose, una realtà che ricorda agli uomini la naturale limitatezza delle loro esperienze e dunque di valutare sempre bene e a fondo prima di sparare (metaforicamente e non, come ci insegna purtroppo la cronaca) sentenze definitive e senza appello.
Monia Baldacci Balsamello
Critica e consulente editoriale