Maria Mezzina

Maria Mezzina

 critico d’arte

Tecnica e luce nelle opere di Luciano Romualdo

Luciano Romualdo è artista del mosaico e della vetro fusione. Quando lo incontri ti colpiscono di lui gli occhi chiari e lo sguardo mite. Poi inizi a parlare del suo lavoro di artista e allora quello sguardo si carica di affetto e il suo parlare si anima di passione.

Gli chiedo dove trovi l’ispirazione: “è la tecnica”, risponde. La sperimentazione con tecniche diverse sarebbe, quindi, la sua musa ispiratrice. In realtà la composizione delle forme e dei colori rivelano la sensibilità dell’artista e quell’inconfondibile tratto che fa di tutte le sue opere dei veri pezzi da collezione. La tecnica di cui parla Romualdo è una somma di conoscenze di struttura dei materiali, di temperature di fusione, di forme e colori, acquisite attraverso la ricerca personale e lo studio di antichi e moderni trattati sull’arte vetraria, la vetro fusione e il mosaico (che è la sua passione più recente). C’è infatti dietro la “tecnica” una conoscenza che la supera e diventa storia e cultura.

Prova ne è il suo minuscolo studio: una finestra sul fondo, una porta di fronte con su uno dei suoi pannelli in vetro fusione, e le due pareti più lunghe letteralmente ricoperte di libri. Lo sguardo cade sul dorso dei molti volumi che portano incisi termini come mosaico e vetro, e si sofferma su quelli antichi poggiati a portata di mano sugli scaffali. Qui “senti” che, oltre che la passione per la sperimentazione scientifica applicata, c’è in Romualdo l’amore per la cultura.

Inevitabilmente il discorso esce dallo specifico della vetro fusione e prende la strada del perché della presenza di questi volumi. È a questo punto che lo sguardo diventa intenso, il raccontare incalzante dietro i ricordi, e si rivela in tutta la sua freschezza e vivacità il “fanciullino” che alberga in ogni artista. Quei libri antichi sono trattati sulle tecniche di lavorazione del vetro, sui mosaici, sulla fotografia, sulla luce; sono libri sulla storia e “le storie” di Napoli. Romualdo li mostra orgoglioso. E in quelle pagine dalla stampa minuta, dal colore antico di una carta di oltre cento anni, fra immagini di studi di vetrate e mosaici ormai celeberrimi, sfogliando pagine realizzate interamente a mano, con metodi artigianali, dove l’inchiostro delle litografie è passato sul retro, l’artista ripercorre gli anni giovanili dell’incanto e della dedizione, quando, ancora ragazzo, andava a consultare alla biblioteca americana dell’USIS a Napoli i volumi dell’arte da cui più si sentiva attratto.

Il tempo è tiranno e c’è ancora molto da vedere. Lasciamo lo studio e ci avviamo poco lontano verso il laboratorio. Qui scopriamo il suo regno. È un garage trasformato in laboratorio. Sembra l’officina di un mago buono più che il luogo di lavoro di un artista minuzioso. Ci sono gli strumenti per il taglio, la molatura e la lucidatura, e il “forno” per la fusione e la colatura del vetro. Ci sono gli utensili per la lavorazione dei mosaici e dei vetri, le scatole dei progetti e degli studi, ci sono modelli e prototipi. Opere ormai finite pendono dalle pareti o sono appoggiate sul piano di legno del tavolo di lavoro che occupa quasi interamente lo spazio. Su due lati, che si alzano fino al soffitto, ci sono scaffalature che al piano più in basso raccolgono in ordine le lastre di vetro colorato, alcune delle quali vecchie di decenni, quando a Napoli non c’erano ancora i grossisti del vetro e Romualdo le sue lastre andava a prenderle all’ingrosso direttamente nei posti di produzione: gli smalti a Venezia, e i vetri a Milano e a Torino.

Già funzionario del Ministero del Lavoro (si è ritirato prima dello scadere naturale della pensione per assecondare il suo estro), la sua carriera di artista è iniziata quasi per scommessa: una vetro fusione per un amico che in passato era rimasto deluso per un analogo lavoro commissionato ad “esperti”. Da allora la lavorazione del vetro diventa la sua passione.

Nella vetro fusione i giochi di luce e i colori si intrecciano con le tecniche di accostamento e le saldature che danno origine a “oggetti impossibili” dai colori indefiniti e cangianti che intrigano l’osservatore e lo chiamano a partecipare all’incanto della scoperta. Il segreto dell’artista è nella sperimentazione con i materiali e con le temperature di fusione; segreto gelosamente custodito.

Le opere di Luciano Romualdo sono state in passato vetrate per chiese ed edifici civili e appartamenti; ora sono oggetti d’arte e di arredamento che alle geometrie e allo stupore dei colori accostano le trasparenze e semitrasparenze delle forme.

Le composizioni miste di vetro fusione e mosaico (l’ultima frontiera delle sue sperimentazioni) danno origine a creazioni tridimensionali che appartengono alla sfera della fantasia, evocano paesaggi lunari, realizzano visioni oniriche, sono talvolta inconsce rappresentazioni di un mondo organico di dimensioni cellulari; oppure riecheggiano teorie di fisica avanzata quali il modello di un universo elastico punteggiato di voragini gravitazionali. Se un fisico teorico o un microbiologo dovessero cercare nelle opere di Romualdo una qualche rappresentazione delle conoscenze di cui sono partecipi, avrebbero di che speculare e essere soddisfatti, probabilmente.

Esse si giocano tutte sulle “trasparenze del materiale utilizzato, nelle sue diverse varianti cromatiche, che interagisce con l’opera stessa plasmandola alle sue proprie luminosità e alle diverse profondità, focalizzate attraverso il vetro, ma arricchite dalla forma artistica che l’autore ha dato alla sua creazione. La scultura in murano diviene dunque la pellicola fotosensibile sulla quale la luce dello spazio s’imprime, ma che dall’opera assorbe i colori e la foggia in uno scambio dinamico che supera la concezione statica dell’opera d’arte per coinvolgere anche l’ambiente nella sua fruizione”, è stato scritto di lui da Domenico Raio, giovane ma molto perspicace e attento critico d’arte.

Coloro che, invece, nell’arte cercano sembianze antropomorfe a imitazione, oppure trasfigurazione della natura, debbono attendere un poco: preziosi, ma ancora in fase di lavorazione, sono le ultimissime sperimentazioni dell’artista. In esse il vetro vestito di colori prende forme più riconoscibili, meno astratte, probabilmente meno stupefacenti, ma certamente più cariche di pathos perché riescono a parlare alla sfera dei sentimenti. Sono forme dinamiche che occupano lo spazio disponendosi in esso in modo variabile, mediante una serie di sottili, invisibili agganci snodabili. È questo il caso di una sequenza di forme che rievocano un angolo di bosco e quello di una splendida maternità (nella foto fra le mani dell’artista).

E così, mentre le opere dell’inconscio e della sperimentazione tecnica hanno ormai raggiunto la piena maturità artistica e si propongono all’estimatore per la loro originalità e il tripudio di forme e colori.

Articolo pubblicato su “Le Radici del Futuro” (n. 1/2011, pgg. 28-29)

 * Maria Mezzina, PhD (Dottorato di ricerca), è giornalista e critico d’arte con esperienza internazionale. Pioniere della computer grafica, ha insegnato a New York e presso l’Accademia d’Arte del più importante museo d’arte moderna e contemporanea di Chicago (Art Institute of Chicago)