Maya Pacifico
Maya Pacifico
Critico d’arte
Microcosmi di luce
Le vetrofusioni di Luciano Romualdo sono opere che imprigionano, filtrano e rifrangono la luce. Alla luce del giorno le forme luminose sono calde e dorate, di notte, alla luce artificiale, risplendono. L’artista suddivide la realtà in vastissimi piani minutamente quadrettati o intersecati da figure geometriche, trascrive la vita in mobili segni. L’effetto che ottiene è soffuso d’immaterialità e di leggerezza che spicca per la straordinaria purezza della forma plasmata dalla luce. Come il cielo stellato, come un antico dipinto, la prospezione cromatica dell’artista napoletano consta di molteplici piani. Piani con misure finite ma energia illimitata. Sono due i termini attraverso cui si può definire la sua arte. Il primo è quello che lo porta ad esplorare la visone in potenza che è sottesa al linguaggio visivo: l’ampia varietà strutturale dei suoi artefatti. Nelle sue opere le potenzialità del linguaggio visivo sono sempre attivate dai nessi cui esse ci rimandano, siano essi autobiografici o solo fisici. La potenzialità è un campo dischiuso fin dai termini che l’artista ha scelto, di volta in volta, per nominare i suoi artefatti: trame, misure, contenitori e simili, titoli che costituiscono altrettanti siti mentali come: “Due condizioni esistenziali, l’isola del corpo, l’oceano della mente”; “Possibili stimolazioni sinestetiche”;” Transitorietà”; “Infinito”; “Concentrazione”; “Tappe di un percorso”; “Meditazione”. Lo stimolo visivo primario dato dalla luce e dal colore è un’entità di ricezione emozionale: la nostra percezione è dilatabile nello stesso momento in cui usufruendo in profondità dei fenomeni della natura possiamo scoprire effetti che altrimenti ci sfuggono e dai quali l’uomo può trarre un’ulteriore coscienza delle sue reali necessità. L’altro termine, che non va sottovalutato è la “manualità”. Manualità che non è certo l’abilità artigiana di manipolare la materia, né il gusto per la perfezione operativa, cosa per cui l’artista nutre un profondo rispetto ma che non è il fulcro del suo agire. Piuttosto un’idea di manualità, può sembrare un paradosso, un controsenso ma non è così: oggi la manualità non è più l’esaltazione dell’esecuzione, quanto piuttosto la volontà di poter agire in corso d’opera, la possibilità di sfruttare la casualità, l’accidentale, la sorpresa che si può sempre annidare nel progetto più accurato, nel lavoro più pensato. In questo senso la manualità è una scelta ideale, una decisione concettuale che consente all’opera di poter dialogare con il suo autore nel momento stesso in cui viene creata. E’ l’arbitrio e la libertà di cambiare il corso delle cose per una fusione che non riesce, o riesce troppo bene, per un colore che ne “chiama” un altro, diverso da quello previsto. Oltre a questo, è anche la coscienza che l’opera è costruzione, e non solo immagine. E’ la creazione di un mondo più ancora che la sua rappresentazione. Gli elementi sono già tutti a disposizione, nel vissuto, nell’immaginario, ma è questa idea di manualità che li combina assieme, che li mette in relazione, che costruisce le storie sintetizzate dai titoli. In “Fluidità e luminosità” il colore giallo primario infonde un bagliore diffuso alla costellazione delle forme che si equilibrano creando una situazione percettiva. La materia complessa del reale viene ridotta ai minimi termini in “Microcosmo”, variazioni di quantità di luce ridotte a diverse qualità di colore per cui ciò che si dà nella terza dimensione sono le infinite sensazioni variabili. La forma concentrica caratterizza “Concentrazione” dove la forma circolare racchiude le figure geometriche che si muovono e si sviluppano secondo principi geometrici e spaziali, regolati da una attenta e misurata dinamica. “Due condizioni esistenziali” verte sulla dicotomia corpo – mente, materia – spirito, e rappresenta la sua considerazione artistico – poetica, non meno che filosofica, che chiede al fruitore di essere partecipata e sperimentata. Un’asserzione indelebilmente vincolata al limite della percezione materiale - fisica e mentale-trascendente.” L’infinito” è il luogo del possibile in cui non sono i sensi a poterlo percepire ma la mente. La necessità di voler abbracciare l’infinito si scontra con la possibilità di rubarne solo dei piccoli frammenti, renderne visibile una parte del tutto: un passaggio tra il mondo fisico, visibile e quello metafisico che c’è ma sfugge ai sensi. La possibilità di maturare, elaborandole, dinamiche di senso si esprime in “Transitorietà”, il ramo di un albero nasce e si sviluppa da un’unica matrice generativa, riferita alla realtà delle forme, e quindi legata alla loro materialità, lasciandoci trasportare dal contingente reale all’inconsistente immateriale. Una scacchiera formata da tanti quadratini rappresenta le “Tappe di un Percorso” che configura le tensioni della figura forma nel suo vibrare nel tempo e nello spazio secondo un principio geometrico e matematico. La bellezza si agita e nasce nella precarietà degli elementi in “Dinamismo meditativo” che esprime il movimento nella sospensione e nel dinamismo delle cose. Il contorno circolare di “Apertura” è una forma perfetta che si apre al caos, è la precisa volontà di giocare con i pensieri e le emozioni, elementi rigorosi e minimali nella sintassi ma fluidi e immaginifici nelle forme. Opacità e trasparenza, pieno e vuoto sono le caratteristiche contrapposte del vetro, una materia complessa che deve essere ridotta ai minimi termini. Nelle fusioni rimane ciò che si dà nella terza dimensione e sono le infinite sensazioni variabili secondo il colore, la distanza e la luce. La composizione dell’immagine la si può leggere nella vibrazione delle linee e nella fosforescenza dei colori, come una corrente elettrica che rende incandescente il circuito che percorre. La sua invenzione non è una proiezione ma un prolungamento dell’essere profondo dell’artista, un venire a galla che risale e affiora. Le vetrofusioni altro non sono che un equilibrio di forze, e poiché tutto in natura è equilibrio di forze, tutto è strutturato”, e demiurgicamente, va a ricreare la misura, attraverso la trasformazione, e l’astrazione aristotelica dal particolare all’universale. Per Luciano Romualdo l’ironia che non si applica alla retorica, non ha oggetto, è puro gioco, una divertente schermaglia delle forme artificiali dell’arte, libere nel loro spazio naturale. La sua estetica personale, quella della quotidiana creazione si assolve tramite l’esperienza del gioco, libero, vivace e divertente, un sogno spesso inteso come viaggio, verso la libertà creata, cercata e voluta per tutti.