Giovanni Giacu

Vi è un momento, nella storia di un’artista, che occorre ricercare fra ricordi per porre in luce l’attimo aurorale del proprio divenire poetico. Per Marco Pascalis, artista sangavinese, quest’anno è da collocarsi nel 1972, quando il francescano Padre Ambrogio Fozzi organizzava una collettiva di pittura. Da quella giovanile esperienza sono trascorsi trent’anni, dove la sintassi espressiva di Marco ha lambito i sentieri di un mosaico figurale che trae spunto da una trasposizione del proprio vissuto. In quest’itinerario poetico s’incontrano,oltre alle coordinate figurative, anche visitazioni di realtà cromatiche evidenzianti un’iconografia ora astratta , ora surreale. Un divenire, dunque, che testimonia l’amore per l’arte, la bellezza, non come attimo d’effimero dialogare, ma come racconto del proprio ed altrui cammino esodale.
Traspare infatti, l’unione più intima fra il vissuto e l’immagine, nella pittura del Pascalis, che riguarda la sfera della creaturalità: il dolore. Realtà che segna profondamente, oltre i recessi del suo animo, i labirinti della sua poetica. Si pensi all’opera “Crocifissione “, gelosamente custodita dall’artista, realizzata dopo l’esperienza di una lunga permanenza in ospedale. In essa vi possiamo scorgere linee narrative echeggianti il testo biblico di “ Giobbe “ , ma anche cromatismi testoriani:

-Hai voluto morire come uno che volesse qualcosa dimostrare. Ma Tu dovevi soltanto vivere e amare. Se come Dio volevi veramente soffrire dovevi scegliere un luogo più vile e segreto per morire. Dovevi fare come le vipere e i cani che scelgono i posti più inaccessibili e vani. Il Tuo sangue non sarebbe stato mai visto, bevuto, mangiato e nessuno per odio T’avrebbe scordato ( G. Testori, Nel Tuo sangue, Milano 1973 ).-

Echi che lo conducono a ridisegnare i propri confini espressivi, attraverso estrusioni immaginifiche sempre più frequenti nei dintorni di una dimensione possibile, dove l’evocazione diviene grido, nell’attesa di una risposta oltre l’incomprensibile silenzio. Sarà proprio la colluttazione con il Dio ascondito che sospingerà il Pascalis al lirismo delle “ Metamorfosi “, quasi ad un riappropriarsi del sogno che frammentandosi nel reale genera sospesi attimi d’evocazione. Attimi, veicolati dalla parola dipinta, che traboccano il suo animo per narrare vissuti ora soggettivi, ora condivisi, nel circoscritto spazio della leuca tela. In molti pongono in evidenza lo stretto legame che intercorre fra il vissuto e l’esperienza del dolore dell’artista sangavinese. Noi oltre a ciò, vi scorgiamo,specie nelle opere visitanti i confini del non figurativo, il dramma esperienziale di un cammino esodale dove vi s’individua l’affannosa ricerca di Dio: adorato,violato, implorato, tranne che evitato. Ossia un ricercare con slancio, audacia e struggente tremore quel Dio, muto, sordo, per chiedergli ragione delmanifestarsi del suo incomprensibile amore.
Trent’anni, dunque, di ricerca, d’espressività artistica dove l’uomo nella sua sublime identità di creatura è posto come soggetto narrante il dialogo con l’Eterno,il creato, la storia. A Marco, come promemoria, vorremmo affidare le linee di un “ dire “ , quasi un grazie per ciò che la sua poetica ci ha proposto e proporrà ancora:
“Dove abita la bellezza ? Vicino alla dimora della misericordia. Sta sulla soglia del cuore dell’uomo insieme al silenzio.
Oltre, nei recessi più reconditi ha genesi il fiume dell’amicizia che attraversati i luoghi dell’animo s’inabissa nell’oceano del cuore dei fratelli. A nessun cromatismo, o espressione artistica, che ritorna, seppur affaticato, verso la dimora della misericordia gli sarà negata la quiete dell’incontro con la bellezza. Allora anche il tramonto che ci abbandona troppo presto la sera e sfuma nel colore sanguigno di una notte apparentemente priva di stelle, ci condurrà dove il silenzio diviene Parola e la Bellezza Bontà. Lì, oltre i ricordi, l’incontro si fa presenza, frammentando per sempre l’effimera sensazione di un’ ”assenza“.

Giovanni Giacu