Dott. Giuseppe Caracò
LO SCRIGNO DEI SOGNI
Questa mostra insolita di Maria Grazia Minto, felicemente appostata in un paesaggio
naturalistico da sogno, stretta tra il silenzio del lago, la profondità dei suoi riflessi e il dolce
digradare dei verdi delle sue sponde, soffocato tra cielo e monti, mi ha gioiosamente
proiettato in un mondo diverso. Mi sono estraniato da ogni contesto temporale e ho
pensato a quante voci, nel silenzio e nella sonorità, potessero raccontare una storia in
bilico tra sogno e realtà, onde, prevaricando una presentazione critica della mostra,
mi sono lasciato andare a considerazioni completamente diverse cercando di ascoltare
oltre che vedere. Una delle più grandi bellezze del creato sta nel fatto che ogni essere
vivente ha necessità di comunicare, persino le cose inanimate soggiacciono a questa
imprescindibile esigenza. Così la natura vive e si perpetua attraverso le forme, i colori, le
dimensioni, le caratteristiche, gli odori, identificandosi e facendosi riconoscere per ogni
singola caratteristica. Gli animali aggiungono movimenti e posture significative proprie
singolarmente e apparentemente mute nel riconoscimento del concetto di istinto.
L’uomo, per il suo implicito valore di essere superiore si avvale della ricchezza della
parola e, là dove essa non si trova, pesca nel fantastico possedere voci differenti ed
egualmente efficaci: atteggiamenti, utilizzo delle espressioni, mimiche, movimenti e
trasmissioni di emozioni, da condividere, da sentire, da conoscere.
L’animo e i sentimenti diventano linguaggio unico e inconfondibile ma egualmente
efficace. Così si attribuisce a tutto ciò senza nome l’epiteto ARTE.
Avvalersi di colori, segni e forme per definire pensieri, tentazioni, emozioni, provocazioni,
esternazioni d’ogni genere, diventano elementi di un linguaggio diverso ma non meno
efficace della parola.
Le proposte visive esposte da Maria Grazia Minto, sono un garbato invito ad entrare
in un mondo particolare dove il suo linguaggio è metafora di interrogazioni intime e di
analisi profonde, a volte rigeneranti nelle proposte a volte sofferte nello sforzo di dire.
Si parla di libertà, di desiderio di affrancarsi da ogni costrizione, di necessità di lottare
per ottenere i diritti violati e pesantemente omessi. La libertà di pensiero proposta tra
racconti fiabeschi, simbolismi e cabale, limiti eufemici e figure sognanti.
I numeri, le prescrizioni suggestive delle inconsce paure dettate dalla superstizione,
le figure sintomatiche, i colori dell’onirico tradotto in reali tematiche quotidiane,
i sentimenti intrisi nella natura, l’utilizzo di tecniche vicine alle prime sperimentazioni
artistiche della storia dell’arte, sono la ferma e convinta voce di questa talentuosa artista
che ha avuto il coraggio di staccarsi dal ripetitivo del banale per cimentarsi in sentieri
ancor troppo nascosti tra la vegetazione della sperimentazione e del difficile.
Difficile raccontarsi soffocati dal conformismo. Difficile essere donna e dover alzare
la voce per farsi udire, difficile cercare nel marasma la luce dell’ordine, la forza della
speranza. Ecco che la tecnica del trompe l’oeil nel proporre profondità di veduta e spazi
incontaminati e liberi vuole solo asserire che c’è sempre una via d’uscita e che bisogna
lottare per trovarla. Un messaggio di ottimismo tinto di armonia e cromie mai azzardate
ma efficacemente prodotte. L’ambientazione sempre interprete di aspetti paesaggistici
legati alle multiformi facce della natura, gli abiti di scena delle figure protagoniste dei suoi
racconti, spesso vestiti di tanta fantasia da sfiorare il kitsch evanescente dell’apparire, i
volti sognanti dei soggetti dipinti: giovani, espressivi, labili ma veri. Bambine e donne
diventano il pentagramma su cui Maria Grazia Minto ferma una sequenza musicale fatta
di tanti ritornelli.
Le tonalità cromatiche calde, la stesura degli invasi e la poliedricità delle materie
trattate, dal legno alla tela, ai muri, alle decorazioni, tutto parla di grande padronanza
dell’esercizio del disegno e della pittura.
Non manualità manieristica, ma conoscenza e perizia professionale, dimestichezza con
la materia e sensibilità compositiva: queste le vivide componenti del lavoro di Maria
Grazia Minto. Delicate le ambientazioni, in sintonia con la traccia delle forme, leggiadre
ed eteree contemporaneamente. I cieli sono sempre emblema di un orizzonte che non
ha limiti, la fierezza della natura è sempre vivida nella positività e nell’intensità dei colori
della forza generatrice di tutte le cose, le posture delle figure, sempre in bilico tra il
gioco e il racconto. L’audacia della lavorazione dei colori primari, la mescolanza per le
sfumature decise danno al costrutto finale una qualità visiva decisa e ricca di personalità.
I volti femminili estatici della maturità non hanno mai la volgarizzazione della seduzione,
ma ammaliano e si fanno ammirare. Non è la bellezza del tratto che fa la figura piacente,
sono le sue sfumature, le espressioni, quel far pensare a cosa c’è dietro ed immaginarne
suggestioni pagane di deità classiche, riportando l’antica concezione di un romanzesco
e leggendario Olimpo.
Riprova di quanto detto, la si riscontra nella ricercata tecnica dell’affresco da cui trarre
con lo strappo l’anima dell’immagine, quasi a scorporare la materia consistente per dare
vita e peso a una nuova forma e ad un’altra materia. I colori che si stingono trasferendo
la loro continuità alla tela rimangono comunque l’origine di una storia, reperto vincente
di un lavoro che, seppur figlio dell’oggi, è già storia del passato e patrimonio di un
vissuto che rivive.
Giuseppe Caracò