Vittorio Sgarbi
Vedendo le opere di Luigina Massaria, anconetana, non mi sorprendo nel saperla laureata in filosofia. Perché la sua pittura sembra legata a una costante di difficile elusione, farsi illustrazione, traduzione in immagine di un pensiero. C'é chi inter- preta l'arte - pensiamo all'Action Painting, per esempio - come esperienza fattiva di intento espressivo su cui impostare a posteriori la riflessione. La Massaria la vede diversamente, capovolgendo il processo: c'é il mondo, esteriore e interiore, che in- duce alla riflessione e l'arte che quella riflessione suggella fornendole uno stru- mento per esternarsi, portandola a spiegarsi in un modo che non sia verbale. In questo senso, ci si atterrebbe alla lettera se si considerasse concettuale la sua pit- tura, sapendo bene che il termine viene usato abitualmente per classificare un altro genere di arte, solitamente non figurativa, anzi, non necessariamente oggettuale, potendo contemplare un'infinita eterogenia di manifestazioni.
Diciamo allora, non scontentando nessuno, che la Massaria tende a dipingere con- cetti, fornendo loro, come si é prima accennato, una traduzione figurata. A questo proposito, adotta una grammatica estremamente semplificata, in cui le mezze mi- sure, di tono, di luce, anche di spazio, possono dirsi bandite, così come ogni comu- nicazione che confidi romanticamente sulla suggestione emotiva a cui il senso del vago può istigare. Caratteristico, nella Massaria, é il ricorso massiccio a manichini antropoformi, come corpi umani talmente denotati da perdere anche la possibilità del riconoscimento facciale, che ricorderebbero da vicino quelli abusati di Mark Ko-
stabi, se non fosse che risultano ricorrenti anche in tanti artisti che Kostabi non co- noscono. Il problema, tornando all'argomento precedente, é che ogni traduzione, come sosteneva Umberto Eco, implica un certo livello di imperfezione rispetto a ciò che si traduce, cosa per cui ci si può accontentare solo di contrattarne la riuscita in un modo piuttosto che in un altro.
Tanto più se si ricorre a un linguaggio di codificazione incerta come l'arte, dove non conta tanto quello che si vuole dire, ma quello che chi recepisce può intendere. Dun- que, non é mai certo, se non per sommi capi (temi come il dramma delle emigrazioni di massa, per esempio), quello che la Massaria ci vorrebbe riferire, né quello che dall'altra parte si può riuscire a cogliere. Non c'é da crucciarsene: é in questa incer- tezza che sta molta dell'attrazione del gioco artistico.
Vittorio Sgarbi