Cinzia Cardinali (Storico dell'Arte - Curatore e Art Advisor - CTU del Tribunale di Perugia)

Testo critico al Catalogo della mostra personale "AXIS MUNDI"

“Nell’arte le intenzioni non sono sufficienti, ciò che conta è cosa si fa e non cosa si aveva intenzione di fare.

               L’arte è una bugia che ci permette di comprendere la verità.  

Nella pittura non ci sono forme concrete o astratte, ma solo forme che rappresentano bugie più o meno convincenti.” Pablo Picasso

  Queste le riflessioni sull’Arte, espresse dal grande patriarca della pittura del Novecento, alle quali MATTEO CIAMPICA si è da sempre ispirato concettualmente nel suo percorso creativo e che ha significativamente scelto come incipit per la presentazione della mostra personale Anima e Materia. Incandescente energia del cosmo. 

Il magistero di Picasso, così come quello di altre stelle polari del “pantheon” ideale di Matteo, ha segnato indelebilmente il suo processo di formazione, ne ha plasmato il background culturale contribuendo alla maturazione di una personalità artistica ricca e complessa, che ha saputo trasfigurare echi e suggestioni della tradizione pittorica e del retaggio estetico di passate stagioni in un linguaggio formale autonomo e originale, svincolato da scuole o correnti del nostro tempo ma profondamente radicato nella contemporaneità.

 Protagonista di questa mostra è la serie di dipinti intitolata Aphonia, frutto della ricerca e delle sperimentazioni incessanti dell’ultimo decennio, approdate alla stesura di un ciclo pittorico di grande respiro e potenza visiva, che si dispiega in un susseguirsi di variazioni cromatiche attorno allo stesso tema. Osservando l’impianto compositivo dei dipinti, il cui soggetto è solo genericamente riconducibile alla categoria del paesaggismo, giacché il contesto ambientale viene appena evocato in filigrana e con intento tutt’altro che naturalistico, l’impressione subitanea è di trovarsi di fronte a una riproposizione della categoria teoretico-estetica del Sublime, che ha permeato una parte significativa della produzione pittorica europea del periodo romantico e che appare qui reinterpretata in una chiave originale e secondo canoni di assoluta contemporaneità, sia sul piano concettuale sia su quello esecutivo. In particolare, la costruzione spaziale dell’immagine, così come il tipo di stesura cromatica rimandano a quel “sublime dinamico”, come lo definiva Kant, riferibile alle manifestazioni della natura caratterizzate da potente esplosione di energia, dallo scatenarsi della furia degli elementi che imprime una vorticosa velocità all’atmosfera. Così pure l’essenzialità della sintassi compositiva, basata su una scansione dello spazio sostanzialmente bipartita, in cui l’elemento figurativo in basso – combinazione di linee orizzontali e verticali - occupa una parte infinitesimale rispetto all’incontenibile dilagare del cielo immenso, si richiama anch’essa alla poetica del Sublime, recepita nella sua declinazione più meditativa e spirituale volta a mostrare l’eterno dialogo ìmpari tra finito e infinito, tra dimensione transeunte terrena e totalità cosmica. 

  Gli scenari di Aphonia, del tutto privi di oggetti artificiali, di episodi di carattere narrativo e scevri da qualunque finalità descrittiva, si connotano essenzialmente come paesaggi interiori intrisi di una forte carica simbolica. Sul piano terrestre, separato quasi impercettibilmente dall’etere caleidoscopico mediante il profilo collinare appena ondulato, che determina la linea dell’orizzonte, si innalzano a distanze variabili sagome di cipressi, percepibili come assi di congiunzione terra-cielo saldamente ancorati al suolo grazie a radici fusiformi capaci di penetrare in profondità e fieramente protesi verso l’alto con le chiome folte e puntute. Con una configurazione simile a pilastri cosmici, i cipressi punteggiano ogni orizzonte tracciato in questo ciclo di tele, assumendo la stessa valenza ancestrale di un allineamento di menhir. L’artista ha fatto di essi un codice, una cifra stilistica che è forma e contenuto al tempo stesso; non sono estranee infatti all’adozione di questo “segno” distintivo né le caratteristiche morfologiche della pianta e la sua diffusa presenza nella terra di origine del pittore, né la natura “sacrale” di albero primigenio, assurto fin dall’antichità a simbolo dell’immortalità e in questo contesto più che mai identificabile con l’axis mundi (l’asse dell’universo) caro alla cosmologia religiosa di remotissime civiltà. 

  Il paesaggio scarno ed essenziale si staglia solitario sulla sconfinata vastità di un cielo sferzato dai vortici cromatici dell’Abstract Expressionism, dando luogo a una compenetrazione vibrante dell’elemento figurativo con le forme dell’astrazione, del piano fisico con quello sovrasensibile. Nel tumultuoso spazio sovrastante la linea dell’orizzonte, che demarca il confine tra la sfera umana e il respiro del cosmo accessibile solo alla proiezione emotiva, l’artista ha inteso rappresentare l’incalzare delle “cure” (nell’accezione latina del termine) dell’esistenza, pervaso da un senso del Fato che al termine di ogni stesura d’opera lo spinge a suggellare simbolicamente - finanche ritualmente - il quadro con una pennellata impressa “alla cieca”. Ed è proprio nel registro superiore dell’immagine, cui è affidata la rappresentazione dell’immateriale, che l’autore dispiega totale libertà espressiva ricorrendo a una pittura gestuale, istintiva, che si fa specchio del suo stato d’animo e nel quale al contempo lo spettatore, operando una sorta di immedesimazione, può leggere il riflesso della propria condizione interiore. In questa pittura all over, fatta di materia cromatica accesa, densa e vibrante, il colore svincolato dalla costrizione della forma pulsa di vita autonoma e crea uno spazio visivo magnetico, ipnotico, capace di coinvolgere lo sguardo dell’osservatore in un rapporto “immersivo” e totalizzante con l’opera. 

  Sebbene i cipressi di Matteo Ciampica affondino le radici nei suoi luoghi di origine, nelle familiari terre trasimene da lui stesso attraversate o accarezzate con lo sguardo ogni giorno dall’alto del Castello, le immagini evocate non sono luoghi fisici, geograficamente riconoscibili, ma afferiscono a una dimensione universale, quella dell’anima e come tali capaci di suscitare una risonanza emotiva a qualsiasi latitudine. 

 

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