ROBERTO VOLPI - MOSTRA "CONTATTI DELL'APPENNINO" - APECCHIO 2016
Nella mostra delle opere di Matteo Milli occorre in primis sottolineare una peculiarità importante e non molto comune. Infatti i dipinti esposti rappresentano la quasi totalità dei lavori portati a termine dall'autore, forse con l'eccezione di qualcosa ancora in corso di esecuzione al momento del primo allestimento. per di più, il tutto risulta eseguito in un arco temporale breve, fra il 2016 e il 2018, né potrebbe essere diversamente vista anche la giovane età dell'artista. Tutto ciò consente una presa di contatto e una visione esaustiva sui temi e sulle modalità espressive in cui si estrinseca la creazione pittorica. Le tecniche usate sono l'acquerello e l'acrilico su cartone telato. Nel ricostruire l'arco cronologico cui i quadri risalgono, non è difficile indovinare un progressivo passaggio dalla prima alla seconda tecnica, di pari passo con l'affinarsi dell'ispirazione e delle capacità realizzative. La caratteristica comune a tutto quanto è il forte legame tra arte e storia, i due interessi culturali prevalenti nell'impostazione di Matteo e fra i quali si punta a raggiungere una sintesi efficace e comprensibile. Gli stessi richiami alla mitologia classica fanno parte del fluire storico, come segno di un'epoca determinata ma destinata a lasciare un'impronta nell'arte e nella letteratura fino ai nostri giorni. Ecco dunque il nume alato che abbraccia la donna e la creatura, riecheggiando una iconografia ancor più etrusca che romana. ecco l'intrigante ninfa della sorgente, il cui ornamento piumato fa vagare la mente ad altri tempi e a lontane latitudini di stampo amerindiano. Ecco infine la Sibilla, entità onnipresente nel politeismo classico, riproposta con uno sguardo penetrante e misterioso che ben si addice al personaggio, benché i contorni e il movimento siano appena abbozzati. Ma la tematica più personale e personalizzata è quella che riguarda il divenire storico di Apecchio e dei suoi dintorni. Questa ricostruzione di sviluppa in maniera diacronica intorno a di guerrieri. E non è privo di senso il particolare che alcuni "modelli" siano presi dall'oggi, come l'amico dell'autore che trasformato in un soldato di Federico da Montefeltro duca di Urbino, o come l'Atrezz, soprannome di un apecchiese che viene portato di peso all'epoca di Caravaggio. In questo acquerello l'alabarda in primo piano rimarca l'atteggiamento bellicoso, benché smorzato da un'espressione vagamente scanzonata e fantasiosa. Un percorso simile appare nell'autoritratto significativamente intitolato M (1300), forse uno dei pezzi migliori che il nostro artista ha esposto. Anche qui in primo piano la lama, a ricordare il concetto di storia come lotta, come disponibilità a battersi. Sembra che in questi dipinti le armi acquistino un'esistenza propria e di per se animata, come la lance di Paolo Uccello nella Battaglia di San Romano o le picche di Velazquez nella Resa di Breda. Dunque, la storia come guerra, ma mirata alla difesa della propria identità, dell'autonomia di un piccolo e fiero comune, dell'intento di chi vi è nato di non permettere a forze esterne di cancellarne la libertà. Ne nascono dipinti come "Medioevo in guerra", con la bella figura femminile che sembra l'ipostasi della violenza, con il sangue che scorre copiosamente e colloca l'immagine fra la vita e la morte. Ma da qui si torna alla volontà creativa, al sublimare nell'arte le passioni e le intenzioni. Ed ecco gli ultimi due autoritratti, volutamente riferiti ad un ideale ambiente caravaggesco. In uno di essi la relativa accuratezza ritrattistica contrasta con i colori appena accennati sullo sfondo, quasi a suggerire la difficoltà nel dare concretezza all'insieme. Nell'altro si gioca sull'effetto luce/ombra quasi a testimoniare ed esaltare l'adesione al modello e alla poetica dell'immortale maestro. Matteo è un autodidatta, ancora deve percorrere strada nel migliorare le tecniche e nell'elaborare i temi prediletti, se non di cercarne di nuovi. Ma è un cammino che può portare lontano.