Armando Ginesi
Racconta storie lievi...
..e delicate, quasi delle fiabe che, però, non devono essere per forza a lieto fine. Con linee sottili e segni minuti, con colori tenui cui fa spesso da fondo il nero, Micha Lilla Memmen proietta visivamente sulla tela il proprio immaginario pregno di una profonda nostalgia dell'infanzia.
E' come se l'Artista tedesco naturalizzato italiano rifiutasse di staccarsi dal mondo fantastico di quand'era bambino oppure volesse in qualche modo impossessarsi oggi d'una stagione felice della vita che a suo tempo gli è sfuggita di mano. Certo è che dietro i paesaggi fiabeschi, le linee ed i tratti volutamente infantili, i colori delicati, dietro l'indiscutibile dimensione ludica del gioco narrativo, si stende una vaga mestizia, un sapore malinconico che trova la sua più evidente e marcata significazione visiva nel nero di alcuni fondi ma anche in certi simboli disegnati del male o dell'inquietudine (la ghigliottina, per esempio, oppure la civetta).
Sicchè il desiderio del gioco, la mestizia, la nostalgia per un'età che è trascorsa, il vagheggiamento che la vita sia una favola dolce e intermina bile ma anche la consapevolezza cosciente che la realtà sa essere amara ed effimera, tutti questi elementi, anche contraddittori, si amalgamano e costruiscono una fantasia complessa, solo apparentemente lineare e can dida, che trova referenti stilistici e formali nella grafia garbata e nella cromia fine di Franco Gentilini, ma che affonda le radici culturali nell'humus dei sommovimenti onirici ed allucinanti dei pittori surrealisti così come, più indietro ancora nel tempo, in quell'eccezionale campione del Surrealismo ante litteram che fu, nel Rinascimento fiammingo, Hieronymus Bosch con
la sua visionarietà esasperata de "Le tentazioni di Sant' Antonio", de "Il trittico del carro di fieno" e così via. A differenza però di questi modelli di riferimento storici, Micha non piomba nelle voragini della disperazione né si immerge nei marosi dell'allucinazione e dei vaneggiamenti visionari, in quanto stempera ogni esasperazione attraverso l'ironia che depura dagli eccessi e che alchemicamente trasforma il torbido in chiaro, la sproporzione in garbo.
Sopra ogni suo dipinto, infatti, aleggia quel sorriso vago che introduce il fruitore all'interno del percorso narrativo, tenendolo educatamente per mano. All'effetto balsamico contribuisce un interesse dell'Artista per i modelli culturali dell'Oriente (notoriamente più atarassici rispetto a quelli Occidentali) ch'egli traduce pittoricamente in superfici d'oro o in cupole dorate e che derivano mediati dagli esempi architettonici della Sezession viennese ed austriaca e dello Jugendstil monacense e tedesco; dei quali esempi Micha percepisce soprattutto la forte valenza simbolica e quindi il denso concentrato spirituale.
..e delicate, quasi delle fiabe che, però, non devono essere per forza a lieto fine. Con linee sottili e segni minuti, con colori tenui cui fa spesso da fondo il nero, Micha Lilla Memmen proietta visivamente sulla tela il proprio immaginario pregno di una profonda nostalgia dell'infanzia.
E' come se l'Artista tedesco naturalizzato italiano rifiutasse di staccarsi dal mondo fantastico di quand'era bambino oppure volesse in qualche modo impossessarsi oggi d'una stagione felice della vita che a suo tempo gli è sfuggita di mano. Certo è che dietro i paesaggi fiabeschi, le linee ed i tratti volutamente infantili, i colori delicati, dietro l'indiscutibile dimensione ludica del gioco narrativo, si stende una vaga mestizia, un sapore malinconico che trova la sua più evidente e marcata significazione visiva nel nero di alcuni fondi ma anche in certi simboli disegnati del male o dell'inquietudine (la ghigliottina, per esempio, oppure la civetta).
Sicchè il desiderio del gioco, la mestizia, la nostalgia per un'età che è trascorsa, il vagheggiamento che la vita sia una favola dolce e intermina bile ma anche la consapevolezza cosciente che la realtà sa essere amara ed effimera, tutti questi elementi, anche contraddittori, si amalgamano e costruiscono una fantasia complessa, solo apparentemente lineare e can dida, che trova referenti stilistici e formali nella grafia garbata e nella cromia fine di Franco Gentilini, ma che affonda le radici culturali nell'humus dei sommovimenti onirici ed allucinanti dei pittori surrealisti così come, più indietro ancora nel tempo, in quell'eccezionale campione del Surrealismo ante litteram che fu, nel Rinascimento fiammingo, Hieronymus Bosch con
la sua visionarietà esasperata de "Le tentazioni di Sant' Antonio", de "Il trittico del carro di fieno" e così via. A differenza però di questi modelli di riferimento storici, Micha non piomba nelle voragini della disperazione né si immerge nei marosi dell'allucinazione e dei vaneggiamenti visionari, in quanto stempera ogni esasperazione attraverso l'ironia che depura dagli eccessi e che alchemicamente trasforma il torbido in chiaro, la sproporzione in garbo.
Sopra ogni suo dipinto, infatti, aleggia quel sorriso vago che introduce il fruitore all'interno del percorso narrativo, tenendolo educatamente per mano. All'effetto balsamico contribuisce un interesse dell'Artista per i modelli culturali dell'Oriente (notoriamente più atarassici rispetto a quelli Occidentali) ch'egli traduce pittoricamente in superfici d'oro o in cupole dorate e che derivano mediati dagli esempi architettonici della Sezession viennese ed austriaca e dello Jugendstil monacense e tedesco; dei quali esempi Micha percepisce soprattutto la forte valenza simbolica e quindi il denso concentrato spirituale.