BRUNO MOROVICH

E' indubbio che quando si parla di “anima” s' intenda quella parte immateriale propria dell'uomo e che a questi dovrebbe sopravvivere, così come, sin dalla notte dei tempi, ad essa si sia cercato di dare una sembianza. In fondo è compito/dovere dell'artista, di ogni artista, sentire di darne rappresentazione esprimendola, dacché questa gli appartiene. Ed ecco che Monia Romanelli, si percepisce nello spazio come monade, specchio vivente dell'Universo, in esso ella si pone ora centralmente ora all'estremità quasi alla ricerca di una via di fuga. Senza patimento, questa sua attività e forza che la conducono ad un continuo movimento, si risolvono in una esplosione di biancore, che lascia intatta l'entità da cui scaturisce, segno della non volontà di voler rifuggire dalla materialità delle cose a dimostrazione della piena consapevolezza di sé. Non c'è infatti frammentazione, parcellizzazione dell'unità ma un irradiamento su una stesura di tenui colori. Monia rimane corpo indistruttibile, prende respiro e diviene essa stessa anima radiante. Ed è con questa propagazione di serena luce, che la pittrice inizia a tessere le sue trame ed i suoi orditi, scandagliando vieppiù l'insondabile in un intreccio di colori morbidi e caldi, indugiando talvolta su fondali scuri quasi a voler significare che comunque si debba per forza di cose dover fare i conti con la propria sostanza. Laddove l'artista erge un muro, questi va lentamente sgretolandosi rivelandosi in minuscoli frammenti – che Romanelli semplicisticamente chiama “mosaici” - spie della complessità non solo del nostro essere ma anche di una realtà tangibile, laddove si possono configurare campi lunghi di scorci metropolitani. Una proiezione dell'anima comunque, non sofferta, financo appagante, da cui potrebbe non essere semplice districarsi, ma credo che Monia sarà in grado di disfare il tessuto e ispirata, riconfezionarlo lumeggiando una ricerca che concede ampi spiragli d'espressione.