Giorgio Binnella

L'individuo è il frutto delle proprie esperienze, l'artista è un individuo, di conseguenza le sue opere sono il frutto delle sue esperienze. Sillogismo semplice ma efficace, che si complica se pensiamo che le esperienze di Monrob sono anche le nostre e che quindi ci dovrebbe essere facile comprendere le sue opere. I soggetti appartengono a campi del sapere all'apparenza poco poetici: il macrocosmo e il microcosmo, lo spettro elettromagnetico, la membrana cellulare...

Oggetti, forme, immagini solitamente confinate in un recinto scientifico, a corollario di argomentazioni tecniche, calcoli, conferenze noiose. Ci viene voglia di alzarci e andarcene, fuggire da quell'arida realtà.  Poi ci imbattiamo nelle opere di Monrob e qualcuno ci spiega che quello che vediamo è esattamente quello da cui fuggivamo. Colori e forme che ci catturano, ipnotizzano, sospendono il giudizio sulla scienza.

In Monrob c'è la poesia della scienza, un ossimoro solo all'apparenza, c'è il caos al quale astrofisici e biologici cercano di dare una spiegazione, c'è la matematica frattale che ci insegna la Natura e non il libro stampato che la uccide, c'è il miracolo della vita che si compie al di fuori di provette e asettici laboratori.

Se i testi scientifici utilizzassero immagini come quelle di create da Monrob, forse riusciremmo ad appassionarci a comprendere meglio i misteri che ci circondano, quelli che si studiano ad anni luce da noi e quelli che sono dentro di noi. Dovremmo chedere a Monrob di parlarci di galassie a spirale o del flusso sanguigno.

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