Gaetano Maria Bonifati

 

L?incanto cromatico di Orazio Vancheri

Con poche tracce cromatiche, distribuite in grandi campi geometrici, l'artista Orazio Vancheri definisce alcune delle argomentazioni più profonde, filosoficamente irrisolte, di una poetica della luce emotivamente ancora inesplorata nella pittura.

Concepita nella delicatezza estrema di un onirico luminoso ed esteticamente impeccabile, fondato sulla profondità del bianco, la tecnica pittorica viene distribuita e celata sullo sfondo di un paesaggio sostanzialmente cromatico e quindi fondamentalmente astratto; qui si delineano stilizzazioni geometriche che, inizialmente, accennano appena un solco narrativo; mentre nelle curvature delle linee di confine cromatico si coglie, nell'insieme, un'armonia vibrante di antiche sensibilità estetiche. Dove i campi pittorici compongono, nel loro assemblarsi, uno accanto all'altro, i confini, si toccano tra loro percezioni concepite in misteri estetici ancestrali che tracciano nuovi nomi di colori, quali giovani miti di un neouniverso o ancora, di una rinnovata libertà estetica.

La profondità dell'astrazione non prevarica mai ma esalta sempre la narrativa figurativa, tanto che questa assume uno spessore figurativo profondo, in una tensione che fonde l'immagine in un evento immediatamente percepibile significativamente, e appena sfumato e vagheggiato dalla purezza del ricordo emotivo.

Questa modalità tecnica, concepita attraverso lunghi anni di maturazione pittorica, sintetizza uno stile straordinariamente acuto, maturo e intensamente personale. Nel notare il ricorrere di certe curve particolari, si può osservare, nelle pitture di Vancheri, delinearsi un luogo particolare, un punto ben definito dal quale si coglie una geometria paesaggistica a 360 gradi. Il paesaggio è un arco di sensibilità emotive, il punto, il centro, è l'arte di Orazio Vancheri.

Le addolcite geometrie di Orazio Vancheri sono dunque spiritualità cromatiche che compongono, in un magico accostarsi tra loro, quasi sospese sul pelo di una superficie liquida, mitologie della creazione e che si rifanno classicamente agli oggetti storici dell'arte figurativa; con una particolare attenzione a certi campi naturalistici della paesaggistica, sensibilmente molto profondi, e particolari minuziosi di una straordinaria flora acquatica.

Dalle Ninfee (2007) allo Stagno delle ninfee (2008) alla Palude dei bambù (2009) fino ai Papaveri (2010), l'elemento acquatico appare come il riflesso terreno di un azzurro cielo della mente, scaturito dalla visione di Woody: Musa ispiratrice del pittore alla quale Vancheri ha impresso il segno duale della Dea dei cieli in Woody 2003. Un occhio è azzurro mentre l'altro è verde.

In Woody 2003 un fuoco solare rosso avvolge e incendia di ardore una fiamma giallo-verde e in questa vive e si agita l'illusione estetica che si realizza nel mistero indefinibile della dolcezza azzurra di un cielo tutto al femminile. Una immagine di una bellezza infinita, di un'eternità ritrovata, senza tempo, che il tempo stesso abbraccia, scalda e protegge quale fonte stessa della mente o quale immagine del proprio stesso esistere.

Arte e vita sono qui fuse e confuse, perché la vita è ciò che nutre l'arte (l'uomo che partecipa ad essa con la sua arte) e l'arte è, tra gli dei, l'eroe umano che abbracciando la vita, la realizza in una sorta di delirio estetico d'amore.

In fondo sono fatti ancora di sogni questi universi matematicamente instabili e imperfetti dell'arte umana! Quel femminino vero, intimo e puro, quella capacità di sentirlo vibrare il poema vivente che è propria degli esseri umani, degli animali, dei senzienti e si contrappone all'inerzia della pietra, matematicamente scolpita dalle leggi della fisica, che giace priva di qualsiasi altro sentire che non sia la materna gravità che la tiene lì, dove essa sta, finché un accidente esterno non la sposta.

Si coglie in Woody 2003 un atteggiamento dolcemente compassionevole verso l'insensibilità della ragione umana, quando questa si avvolge attorno al proprio facile ego sociale, proponendosi come soluzione di massa al dilemma umano, quasi essa fosse il destino naturale di tutti gli uomini. Il pittore imprime e sublima qui, nello sguardo duplice di Woody, una incantata compassione verso quella rigida pietrificazione delle cose umane che, pur immerse nel vivente, restano incapaci di cogliere in esso la semplice ed essenziale poesia e quindi di far vibrare il ritmo della propria esistenza nel proprio presente.

Questa compassione verso quell'atteggiamento di attesa di un evento storico che l'individuo umano sociale immagina miserabilmente dovere accadere fuori di sé, è infinitamente e terribilmente diversa dalla drammatica pietà di Michelangelo o dalla sorniona sontuosità del sorriso della Gioconda. Non vi è né pietà né malizia nel suo sguardo ma una delicata partecipazione alla condizione umana di miseria spirituale.

La filosofia estetica di Vancheri concepisce l'uomo come sintesi della realtà e non come mera espressione razionale della realtà contrapposta alla vita emotiva (Cristo 2001). Quindi l'uomo è, in quanto sintesi della realtà naturale vivente, anche razionale ma mai puro logos. Ed è proprio questa sintesi drammatica e contraddittoria che spinge l'uomo a realizzare l'arte come sintesi della realtà del mondo, quasi che essa fosse il suo unico e vero istinto.

L'arte della pittura in definitiva è per Vancheri quello spazio di infinite possibilità dell'immagine di sé, nel quale l'uomo cessa di competere con il se stesso riflesso nel mondo, per realizzare, finalmente, quel se stesso quale natura vivente della propria individuale mente.

Osservando le opere di Orazio Vancheri, si accende in noi quella scintilla indefinibile di lucidità sospesa nell'attimo che consuma il nostro sguardo e, tocchiamo, per un fugace momento, quella straordinaria impressione che tutto ciò che stiamo percependo è ben aldilà dell'ipotesi del visibile. Che altro è l'uomo se non questa sospesa realtà dell'attimo poetico?

La luce, per quest'artista che esalta particolarmente la nobiltà ultima della vista su tutti gli altri sensi, è un suono fluido che non cozza mai contro le superfici ma si compenetra sempre con esse. Le superfici sono esse stesse musiche fluide e ondeggianti, costituite da luci coerenti che si addensano con una loro propria forza gravitazionale.

Compenetrando l'antico suono Saturnino nel giovane occhio Gioviano il pittore realizza una magia antica dell'arte dell'immaginario estetico nella pittura: il movimento magico della danza degli spiriti della luce (La fossa del papavero).

La pittura di Orazio Vancheri tocca dunque una tematica estremamente delicata per la storia dell'arte: quel punto di fuga matematico che tutti unisce in un unico tragico poema estetico. La correzione espressionista di Vancheri è semplice: il modello poetico che cogliamo nella natura, come linguaggio matematico, è in sé mera struttura di un linguaggio, non è pertanto una realtà finita, benché vi alluda. Solo l'espressione della propria anima o musa può indurre nel modello nuova linfa vitale, linfa che è lo stile, stile che genera il proprio universo estetico rigenerando il mondo. Non solo dunque abbiamo bisogno di arte ma abbiamo bisogno di vivere di arte e di far vivere l'arte come essenziale condizione umana

Da dove scaturisce una così perfetta definizione stilistica della forma emotiva che è fonte del fascino delle opere di Vancheri?

L'artista stratifica le dimensioni dello spazio, del tempo, e dell'eterno rincorrersi delle cose viventi, partendo dal punto di fuga della luce bianca.

La luce bianca permea tutte le opere di Vancheri come una numinosità estetica diffusa. Questa non sembra provenire dal sole o da una fonte luminosa determinata ma si irradia dagli stessi oggetti che essa tocca. In Girasole questo fenomeno stilistico è particolarmente evidente, in quanto è spezzato da un profondo azzurro marino. Il cielo, il sole e i girasoli, con i papaveri, gli arbusti, i fichi d'india sono un'unica fonte di luce bianca. A sottolineare questa compartecipazione all'irradiarsi della luce, i rami di un albero giocano a creare spirali intorno al cerchio solare

A volte distendendola sulla tela la luce bianca diviene fondamento dello spettro cromatico dell'idea artistica. La dimensione bianca della luce assume inizialmente una forma bidimensionale, da un lato l'intuizione e dall'altro la forma; è la forma che contiene l'intuizione; la forma è la coppa, l'intuizione è il magico elisir dell'arte. E' qui che già nasce la narrazione paesaggistica di un evento subcreativo, cromaticamente già definito, anche se non ancora liricamente steso. La profondità del campo è pura emozione che tinge di sensibilità figurativa quelle forme astratte. È l'immagine del concreto palpitare della vita che dà profondità e spessore alla terza dimensione dello spazio. Ed è qui, in questo spazio emotivo che l'artista inizia il processo di scissione della luce, definendo lo stile come impressione di una realtà che scaturisce dagli occhi ma che emana dalle profondità del proprio tempo individuale.

Il numero è pertanto la misura del tempo che scorre nello spazio come ritmo cromatico. Così la malinconia è una distesa azzurra sotto un piccolo cerchietto rosso (Woody 2004). I due campi cromatici estremi sono uniti solo da un ricordo, eco di un sentimento che tinge di rosa una parte del cielo dove, toccando l'azzurra malinconia delle acque, genera la figurazione.

La lontananza di una forma che non trattiene più l'immensità del cielo e che altrimenti si approssima a tramontare oltre le acque non lascia cadere il passato nell'oblio e nella tristezza ma si realizza nel ricordo malinconico. L'azzurro non più avvolto dalla passione si distende in un 'immensa solitudine che è anche una solitaria pace invernale e notturna. Un sonno che nel ricordo rinnoverà il giorno e le stagioni inondando la mente di nuove meravigliose forme e tinte di luce.

Il tempo è musica della luce. La propria stessa musica. Il proprio tempo: lo stile o il gioco dei ritmi che si avvolgono, increspandosi, sulla melodia geometrica. L'armonia cromatica si fonda sull'esperienza di una natura increata creativa, ovvero su quell'eterno ricorrere delle cose, su un'esperienza di bellezza che precede di un attimo la creazione, fissandone l'impressione potenziale in un'immagine attraverso un processo inverso alla struttura meccanico-biologica del senso della vista. Un attimo prima essa sembra provenire da fuori un attimo dopo l'occhio artistico crea lo spazio e il tempo fuori di sé e indipendente da sé lascia che esso viva (Risveglio 2008).

Una natura increata increativa gioca a lasciarsi sedurre da una natura increata creativa nell'ordine della subcreazione o della cocreazione. Uomo e natura sono qui la medesima cosa. L'uomo è, come evento naturale, la natura che realizza il suo sogno attraverso un gioco che ha per fine la tensione di un movimento poetico. La natura increativa dell'uomo si fa partecipe della sua natura creativa, riconoscendosi in essa e fuori di essa, verso un movimento creativo indipendente da essa ma che su questa antica esperienza si fonda (Era lei 1986).

Il tempo compone dunque una musica cromatica in un presente, la visione del quadro, che è luogo di un percorso ciclico tra un passato dolcemente compassionevole e pulsante di vitalità, quindi un presente malinconico dal quale nasce il futuro ancorato al ritmo vibrante del proprio stile.

Se non consideriamo queste tre stratificazione spazio tempo e eternità del presente non possiamo afferrare intuitivamente il mondo artistico di Vancheri ma solo rimanere soggiogati dalla sua bellezza.

Tra spazio, tempo ed eternità si gioca il gioco dell'arte che ha come fine il gioco stesso, la realizzazione del gioco. La simulazione gioiosa di qualcosa verso la quale tendiamo inesorabilmente: la nostra natura umana. Un'arte del fare che diviene infine sostanza artistica del proprio universo, ciclico e rituale come l'eterno rincorrersi delle sfere nel cielo, un moto che si affaccia sul movimento degli altri creatori, fuori della fanciulla realtà di un mondo sociale in perenne attesa dell'evento storico liberatorio.

Viviamo una condizione umana sul filo dello spezzarsi. Sappiamo di partecipare ad una realtà incompiuta e lacerata. Siamo troppo concentrati su questioni meramente umane (razionali) e disperate, per consentirci l'agio di giocare all'inutile gioco dell'arte. Ma l'arte è un gioco laico e bello che ci insegna che un altro mondo, non solo è possibile, ma assolutamente necessario per noi stessi e per il mondo. La mostra di pittura di Orazio Vancheri è un'occasione straordinaria di cogliere quella illusione necessaria dell'incanto dell'arte che è l'unica verità possibile ed eterna del mondo.

 

Roma, 10 gennaio 2011

Gaetano M. Bonifati

 

 

Scopri di più