Ivan Caccavale
Testo critico di Ivan Caccavale per Patrizio Arabito
Forte del suo retaggio culturale, sviluppatosi nell’ambiente accademico catanese e poi affinatosi nel corso del tempo, Patrizio Arabito si dimostra un artista capace di esprimere un corpus variegato di contenuti attraverso una padronanza tecnica differenziata, dalla grafica all’acrilico fino all’olio. Nei suoi lavori la contingenza dei momenti ispirativi sovrasta la logica della riconoscibilità. Alla luce di questa affermazione, la sua essenza si rintraccia spontaneamente e non come risultato di un discorso ragionato.
È così che si susseguono, l’una dopo l’altra, opere aventi per soggetto l’universo muliebre o il dato paesistico, a partire da un figurativo dalle forti suggestioni oniriche. Come un mosaico e come nella pittura impressionista, le sue tele presuppongo un’osservazione a distanza. È così che i guizzi, le lingue vibranti di colore tracciano una trama realistica, ma onirica, sbiadita, caratterizzata da un non definito. Per sinestesia, i suoi quadri sono associati al silenzio: il silenzio di un notturno, di un paesaggio assolato. Sono atmosfere intime eppure esuberanti nella tavolozza come nel tratto, in cui coesistono sconfinamenti nel materico e resa dissolta, da acquerello, senza tuttavia perdita di credibilità: tra questi due estremi, infatti, Arabito si destreggia bene, ogni volta capace di condurre l’astante nello scenario tratteggiato, di far vivere l’intensità di uno stato d’animo cristallizzato sulla tela.
In siffatto repertorio, i soggetti umani si materializzano su superfici astratte, come dei flashback che epifanicamente prendono forma nella psiche umana. In altri casi, comuni oggetti di uso quotidiano vanno a comporre delle nature morte quali forme in rapporto allo spazio, con una sospensione derivante dal rapporto del piano con gli oggetti, di concezione cezanniana. Ancora, diversi lacerti paesistici italiani interagiscono con l’interiorità del pittore, che ne fornisce una sua interpretazione personale, non timoroso di affidare al paesaggio l’intero campo d’azione, sulla scia dei pittori della scuola di Barbizon, dei Macchiaioli. Con i primi, in particolare, egli condivide il binomio paesaggio - stato d’animo, un rapporto non dominato dall’idealizzazione della natura, quanto piuttosto dal potenziale ispiratore da essa derivante, con un atteggiamento di ammirazione rispetto al suo potere immaginifico.
Se Le Sidaner, anch’egli partito da esperienze di disegno, impiega la sua tecnica neo-impressionista in combinazione con un cromatismo assai contenuto, dalle sfumature calde e dalle tonalità raffinate e dolci, per dar vita ad atmosfere silenti e quiete, placide, ovattate, sospese, che costituiscono la sua cifra stilistica vincente, il pittore siciliano, nella trattazione di una pittura che prenda in considerazione i processi ottici dell’essere umano, perviene ugualmente ad effetti di morbidezza e raccoglimento, tuttavia con un vigore espressionistico che riesce a controllare sapientemente.
Nel corso del tempo, la figurazione subisce un processo di disfacimento sempre maggiore, senza tuttavia uscire di scena completamente. In tale fase, il colore si fa tratto serpentinato, spiraliforme, in un coacervo policromo, per raggiungere una gradevolezza estetica non discutibile.
In uno sguardo, nel dettaglio della verzura come di un oggetto e nella loro originale orchestrazione, le opere di Arabito manifestano tutta l’esigenza comunicativa innata nell’artista, esigenza da cui ha preso piede il suo percorso nel mondo dell’arte contemporanea.
Ivan Caccavale
Storico, critico e curatore d’arte