Gloria Calì
Io non sono una storica dell’arte, né un critico, ma sono una che ama e “vive” le opere d’arte, sempre emozionata dalle prove d’ingegno e di mestiere del genere umano.
E, Pietro, tu di ingegno e mestiere ne hai per te e per tutti noi!
La cosa stupefacente è che la tua relazione professionale col mondo dell’arte è scientifica e analitica, non creativa né interpretativa: tu non sei uno storico dell’arte, un architetto o un pittore. Sei un geofisico, un pilastro dell’Università di Palermo, che si è intestato una rispettabilissima quantità di progetti e collaborazioni per interventi di diagnosi sui Beni Culturali. Tu analizzi le opere d’arte dal punto di vista fisico, non stilistico o artistico, per constatarne lo stato di conservazione; penetri i suoli con raggi ed echi per restituire la storia di un edificio o di un luogo sotto il terreno calpestato. Apparentemente, quindi, potresti essere disinteressato al valore emotivo o semantico dell’espressione artistica, per fermarti alla sua sostanza materiale e misurabile. Gli strumenti di indagine che tu usi, però, ci aiutano a capirti: apparentemente non invasivi, in realtà penetrano oltre la superficie di una statua o di un pavimento, per indagare cosa c’è “dentro”.
Volendo essere metaforici, i tuoi occhi sono i tuoi primi strumenti d’indagine, che guardano le cose, ma vanno oltre l’apparenza sensibile. La tua mano, che segue lo sguardo, esprime proprio questo rapporto tra ciò che si vede e ciò che si “sente”, trasformando questo dinamismo in arte.
Le tue opere sono anzitutto evidenze innegabili del quotidiano.
Innegabili perché di tutti: nessuno può contraddire la verità delle tue immagini. La prima cosa che l’osservatore prova, guardando un tuo quadro, è il senso di appartenenza: tutti sappiamo cos’è una corda, una barca, un’onda, un fiore. Nessuno può dire di non “capire”. Ma siamo solo alla superficie, ancora gli strumenti di penetrazione non sono attivati, e non è facile farli funzionare. La cura dei dettagli, l’aspirazione alla “tangibilità”degli oggetti è un potentissimo distrattore: la nostra ammirazione si concentra sulla precisione del dettaglio, sull’originalità della scelta del soggetto, sulla rispondenza al nostro vissuto. Indubbiamente ci piaci, Pietro, sia perché ci riconosciamo nei tuoi soggetti, sia perché ammiriamo la perizia tecnica del tuo fare artistico.
Se però decidiamo di non accontentarci di questa soddisfazione, della sensazione rassicurante di “conosciuto” e di stupore ammirato per quanto sei bravo, restiamo a guardare, passiamo da un’opera all’altra per poi ritornare alla precedente, prestiamo la giusta attenzione ai titoli dei quadri, avvertiamo le tensioni emotive di un uomo che, attraverso l’estremismo del dettaglio, dà l’impressione di voler regolarizzare gli spasmi dell’anima e del pensiero. Il tempo che passa è una pianta di cappero in pieno rigoglio o un chiavistello di porta, la malinconica stanchezza è il tramonto solcato da una barca, l’intima semplicità degli affetti domestici è la molletta da bucato. Per non parlare delle corde e dei nodi, elementi carichi di un universo simbolico che ognuno di noi potrebbe ampliare a dismisura.
Volendo trovare un corrispettivo letterario, mi viene in mente la poesia di Giovanni Pascoli, che con la poesia delle tue opere ha molto in comune, secondo me… il poeta focalizza illumina i dettagli del quotidiano, dell’esperienza personale e colletiiva, caricandoli di significati complessi e profondi, che scaturiscono dal mondo interiore dell’autore. Penso a “il gelsomino notturno”, ad esempio..
I confronti artistici con le varie correnti artistiche antiche e moderne sono stati già fatti da critici d’arte molto più accreditati di me: a me qui resta solo il compito e, soprattutto, il piacere di ricordare che, di una tradizione illustre di artisti “del quotidiano” e del “vero” tu sei un erede originale e degnissimo. Da Caravaggio a Guttuso, dal realismo all’iperrealismo, potremmo trovare confronti e riferimenti senza fine.
Dicevo prima che le tue opere sono innegabili evidenze del quotidiano: in questo caso, il quotidiano che hai esaltato è Salina, presente, singolare, concreta e vitale.
Salina è un ‘isola, e non c’è bisogno di insistere sul fatto che l’”insularità” è una condizione, un modo di essere, e di vivere. Di questa condizione hai percepito e rappresentato gli elementi per te più carichi di senso: i ciottoli, bellissimi e incoscienti; le barche che risalgono le gradinate, ironiche e laboriose. Quest’isola ti ha ispirato, dandoti luce e materia per esprimere in modo ancora nuovo il tuo mondo interiore. Attorno al nucleo di opere per Salina, ne vediamo aggregate altre a completare un percorso che qui si apre, ma che non ha fine né meta. Per fortuna, aggiungerei…
Sono i quadri del mare e delle barche, con i loro colori vivaci e solari, ma anche con l’amarezza della loro incapacità di vivere contro il tempo, che, nonostante la lotta, costringe alla “resa”. Che dire, Pietro: ti aspettiamo sempre. Mi auguro che tu trovi ancora altre fonti di ispirazione e creazione, che tu esprima sempre la tua grande anima usando oggetti e luoghi, che, “visti” da te, diventano arte. E di quell’Arte con la A maiuscola che non ci sazia mai.