Maria Antonietta Spadaro

La “corda pazza” di Pietro Cosentino  

Pietro Cosentino, professore di geofisica all’Università di Palermo, ha sperimentato con successo anche metodi scientifici applicabili alle opere d’arte e all’archeologia al fine di determinarne, attraverso sollecitazioni in grado di produrre vibrazioni, una sorta di identificazione sonica dell’oggetto. Egli tuttavia ha avuto la passione del disegno fin da ragazzino. Un artista travestito da scienziato? Si perché Pietro Cosentino, in arte Picos, non ha mai rivelato, tranne che a pochi intimi, la sua attività d’artista, di disegnatore instancabile e meticoloso.

Oggi ha deciso di venire allo scoperto e lo ringraziamo. La percezione della realtà e il problema della rappresentazione di essa – nodo cruciale dell’arte – è stato risolto da Pietro facendo ricorso alla tecnica fotografica, che egli domina da maestro. Ma questo è solo il primo livello, poi nasce in lui l’esigenza di manipolare l’immagine, entrandoci dentro, scomponendola, per poi ricostruirla con la tecnica manuale, antica, del disegno. Una tecnica maniacale nel riprodurre le forme, ricomponendole, traducendone sulla carta le trame più segrete e invisibili ad un occhio distratto.

Egli disegna usando il carboncino e lo sfumino su cartoncino liscio, per cui l’effetto che riesce a ricreare è quello del miglior bianco/nero fotografico, persino rendendo il senso di sfocato e di nitida messa-a-fuoco.

L’iperrealismo assoluto, più spiazzante e ingannevole, ci porta verso soggetti vari. Temi quali le corde, i relitti, le pietre, il mare, gli alberi e i tronchi, le chiavi, le sedie, il filo spinato, le catene, i legni, gli oggetti d’uso comune, ecc. ci svelano essenze emotive ignote, che non avevamo percepito finora.

Infatti Pietro narra, attraverso oggetti o frammenti casualmente assemblati, la vita nelle sue inconcepibili complessità e inaspettate facilità. Dimensioni, forme, motivi noti a tutti ma di cui assaporiamo un senso nuovo: fluttuazioni dei sensi prodotte da quella insistenza del dettaglio, che non tralascia nulla, proprio come in un procedimento matematico, in cui trascurando un passaggio non si perviene al risultato. Ed ecco riaffiorare lo scienziato, rigoroso ma creativo.

L’ammucchiata di vecchie chiavi o di sedie (Dal rigattiere), l’intrigo misterioso di corde annodate, il gioco perverso dei tronchi d’ulivo, il ritmo affaticato delle onde marine, il disperato silenzio del relitto di una barca (Abbandono), la suggestione materica e tattile dei ciottoli di fiume (Alla foce), la vanità di un balcone fiorito, i racconti irrequieti dei nodi (Nodo in agguato) e delle venature del legno, l’arroganza del filo spinato (Proibito), il meritato riposo di vecchi pneumatici (Muro di gomme), la consistenza golosa di robuste forme di formaggio…tutto può provocare emozioni, anche attraverso il gioco accorto del titolo che accompagna ogni opera.

Luce-chiaroscuro-ombre e senso prospettico da un lato, rigore assoluto nella resa formale dall’altro: Pietro si muove con la disinvoltura di un artista consumato, come chi si rapporta al mondo attraverso le immagini da sempre.

I fantasmi del nostro inconscio devono sviluppare metafore per consentirci di vivere. Così per Pietro ogni oggetto disegnato diviene un simbolo, un veicolo visibile per giungere all’invisibile. Il rimbalzare continuo della finzione figurativa tra il momento della tensione percettiva, il limite specifico della rappresentazione e infine l’ebbrezza dell’intrigo narrativo, come superamento del fatto puramente grafico, sembrano costituire il senso vero dell’operazione ‘concettuale’ di Pietro Cosentino, artista.

[Ottobre 2007]